Nel corso della mia esperienza terapeutica ho avuto modo di capire che , qualunque sia il problema che ci rende la vita come una montagna impossibile da scalare, questo problema si affronta meglio se non si è soli.
L’errore che io ho commesso fin dalla mia infanzia, e poi in adolescenza e poi ancora in età adulta, è quello di credere che tutte le difficoltà le potevo e le dovevo superare da solo, senza chiedere aiuto a nessuno. Tutto questo per non deludere chi mi stava di fronte, pensando che poi mi sarebbe stato riconosciuto un “qualcosa” in premio. Con costi fisici e mentali altissimi. Ma gli altri non vedevano le mie difficoltà nell’affrontare tutto da solo e né apprezzavano i miei sforzi. La conseguenza di tutto ciò è stato un aumento della rabbia e del malessere in senso generale (giramenti di testa, oppressione al petto, difficoltà di respiro, ansia, ecc.).
Ma come il gattino che drizza il pelo per spaventare il nemico, io usavo la rabbia per farmi vedere, per affrontare gli altri. Ma il gattino, anche con il pelo dritto, rimane un gattino. Ed io, agli occhi degli altri, anche se arrabbiato, ero sempre io. Al limite mi evitavano, aspettando che mi sbollisse la rabbia, come si fa quando si incontra una persona arrabbiata. Ed era esattamente quello che io non volevo. Volevo che gli altri mi chiedessero della mia rabbia, invece continuavano ad ignorarmi, a non vedermi. Ed il mio “star male con me stesso e con gli altri” aumentava. Era un circolo vizioso. Il disagio ed il disorientamento erano compagni giornalieri della mia vita. Non sapevo cosa fare di più. Forse non facevo abbastanza per essere considerato meritevole di aiuto e di rispetto? Forse non mi comportavo abbastanza bene per avere un minimo di riconoscimento personale?
Ma a volte la mente ci mente. Invece di chiedere aiuto, che è la cosa più semplice da fare quando si è in difficoltà, la mia mente mi “aiutava” a rimuginare su cosa dovevo fare in più per superare questo momento. I sintomi fisici mi spaventavano sempre di più. Gli esiti positivi delle visite mediche cui mi sottoponevo non mi tranquillizzavano, se non temporaneamente.
La svolta è arrivata quando ho avuto il coraggio e l’umiltà di ascoltare chi mi stava tendendo una mano per aiutarmi. Ed ho chiesto aiuto.
Da li, dopo un percorso lungo e difficoltoso per quanto necessario, sostenuto dalla mia psicoterapeuta, ho ritrovato la serenità nel rapporto con gli altri e soprattutto con me stesso. Ho ritrovato il contatto con le mie emozioni, dando loro il giusto sfogo e non soffocandole al mio modo di fare. Ho abbassato le pretese nei confronti di me stesso. Mi sono liberato dalla gabbia “del comportarsi bene” e del “non deludere gli altri”. Una frase riassume molto bene questa liberazione:
<<Uno poi si stanca, di spiegarsi, di parlare, di cercare in tutti i modi di farsi capire. A volte bisogna semplicemente sorridere e mandare a fanculo.>>
Tutto questo percorso è riassumibile in poche parole.
Parlate con gli altri dei vostri problemi, perché è più semplice superarli quando non si è soli.
Chiediamo aiuto agli altri, non ci chiudiamo dentro il nostro guscio, non ci teniamo dentro il nostro malessere. Se facciamo così, siamo come un libro chiuso. Gli altri vedono solo la copertina esterna, senza sapere quanto c’è scritto dentro. E vi assicuro che dentro di ognuno di noi c’è molto da far vedere agli altri. Basta aprirsi un po’.
Buona vita