di: Francesca Solito e Pamela Calussi

Gli indicatori di malessere: come orientarsi

Quando soffrono, i bambini difficilmente sanno associare i loro sintomi di malessere all’esperienza avversa subita. In un precedente articolo di approfondimento (“Le esperienze avverse in ambito educativo. Quali sono i segnali di disagio nel bambino e come riconoscerli”) abbiamo detto che i bambini possono non essere in grado di esprimere a parole il proprio disagio, e che spesso il corpo ed il comportamento parlano al loro posto: mal di testa, pipì a letto, mal di pancia, nervosismo, aggressività o al contrario eccessiva ed improvvisa tristezza, possono essere indicatori di una sofferenza silenziosa.

La moltitudine dei “campanelli d’allarme” di cui abbiamo parlato, devono avere una funzione orientativa rispetto all’individuazione di un disagio, vanno tenuti in considerazione con prudenza, evitando di minimizzarli o al contrario enfatizzarli. Non tutti i segni di malessere vanno letti dentro la chiave di “maltrattamenti” perché gli stessi potrebbero essere indice di un disagio transitorio, dovuto ad una fase dello sviluppo, oppure di sofferenze inevitabili legate a situazioni familiari (trasloco, lutti, malattia di un familiare…) oppure ad aspetti legati a caratteristiche temperamentali del bambino.
Di conseguenza gli indicatori di disagio vanno usati come stimoli guida, è importante non sottovalutarli se il bambino non ha mai presentato comportamenti, reazioni simili precedentemente. Un cambiamento di comportamento sostanziale in una di queste sfere: pappa, cacca, nanna, rappresenta un segnale che non andrebbe sottovalutato ma monitorato.
Monitorare un segnale di malessere significa tenerlo sotto osservazione in modo da valutare l’intensità e la frequenza con la quale viene messo in atto.
E’ comune assistere a variazioni comportamentali o emotive nei bambini senza che ci sia un evidente motivo, ma semplicemente siamo di fronte a fasi evolutive particolari, momenti di irritabilità dovuti magari a qualche altra causa e che comunque non è detto che siano legati a fatti gravi (si pensi per esempio ad un cambio di scuola: per un bambino è destabilizzante, ed è assolutamente nella norma che metta in atto comportamenti o abbia reazioni emotive insolite).

L’importante è che i genitori si facciano sempre delle domande: dobbiamo stare attenti da una parte a non sovrastimare i segnali e i cambiamenti nel bambino, dall’altra a non sottovalutarli, osservando attentamente l’ambiente.

E’ necessario infatti chiedersi sempre se il comportamento del bambino possa essere spiegato alla luce di cambiamenti fisiologici o stati di salute particolare (periodo di influenze continue, dentizione), di cambiamenti nelle routine (togliere il pannolino o il ciuccio), di cambiamenti nell’assetto della famiglia (separazioni o nascita del fratellino), di ambiente di vita (trasloco, cambio scuola..), oppure di esperienze avverse vissute dal bambino in ambito educativo.

Come accogliere e gestire il disagio: cosa fare per aiutare un bambino che sta soffrendo

Nella famiglia bisogna creare le condizioni perché il bambino si senta accolto ed aiutato ad esprimere all’adulto le sue emozioni e le sue possibili difficoltà. Ciò può avvenire solo in un clima di calore, disponibilità, affettività ed empatia, ma soprattutto nell’ambito di una relazione di fiducia. Allenarsi all’ascolto e alla comprensione empatica con i bambini, che spesso non riescono o ancora non possono verbalizzare cosa li “tormenta” può rivelarsi molto utile: riconoscere le emozioni dei propri figli, rendersi conto dei cambiamenti di umore, quando è triste, quando si sente ferito e dar loro il diritto di sentire ciò che sentono porta a mettersi in una posizione di ascolto. Così facendo il genitore eviterà di bloccare queste emozioni spiacevoli per un suo bisogno di vedere il figlio sereno. Dobbiamo porci nei confronti del bambino in modo aperto, empatico e libero da paure, cosicché il bambino si senta finalmente abbastanza sicuro da sostenere tutta l’intensità della sua emozione, ad esempio piangendo senza sosta, oppure gridando fuori tutta la paura che ha provato.
Cercare di rispondere con coinvolgimento e pazienza a quelle che spesso possano sembrare domande estenuanti e banali da parte del bambino significa prendere in considerazione il suo bisogno e accoglierlo (per esempio, un bambino che viene strattonato da un altro bambino e dopo chiede per molte volte alla madre di raccontare l’accaduto, lo fa perché ha bisogno di maggiore chiarezza sull’evento). Le sue incessanti domande, ai nostri occhi superflue, banali e ripetitive, sono in realtà richieste di rassicurazione, ci sta chiedendo un aiuto per comprendere i contenuti di un episodio che non riesce a capire fino in fondo.
Molto importante è aiutarlo a comprendere le proprie emozioni più intense, sia quelle belle che quelle brutte, perché così il bambino imparerà a non averne paura, ad esprimerle in modo corretto, ad esprimere i suoi bisogni e i suoi pensieri: sarà un bambino competente dal punto di vista emotivo, e imparerà quindi a non autocontenersi e sarà disponibile a parlare delle proprie emozioni difficili e dolorose, di ciò che trova spaventoso o fastidioso.

Al fine di raggiungere questo obiettivo:

  • Dobbiamo fare attenzione al bambino: mettere il bambino al centro di un interesse rispettoso e tendente al dialogo, dedicargli tempo, disponibilità mentale ed energia.
  • Mettersi dal punto di vista del bambino: comprendere le qualità e le potenzialità del bambino, il suo punto di vista. Per essere sensibili all’ascolto dei bisogni emotivi dell’interlocutore bambino occorre ricordarsi, almeno parzialmente, di essere stati bambini con specifiche sofferenze, esigenze, frustrazioni, con una sufficiente capacità di comprensione (adesso si parla molto di più ai bambini e a spiegargli molto di più le cose, a differenza per esempio di quando eravamo piccoli noi in cui la tendenza era quella di non spiegarci nulla perché “tanto eravamo piccoli”. Adesso invece la credenza è quella che anche al bambino molto piccolo debbano essere spiegate e raccontate le cose, con linguaggio adeguato ovviamente, e ciò favorisce sia lo sviluppo delle sue capacità cognitive che quelle di ascolto, ma anche lo sviluppo di una buona capacità riflessiva sugli eventi.
  • Definire a parole i sentimenti: è necessario imparare ad attribuire un nome ai propri ed altrui sentimenti, occorre valorizzare e legittimare i segnali emotivi e gli stati d’animo dei bambini (esempio: ad un bambino che ci racconta che si è arrabbiato perché un altro bambino gli ha tolto di mano un gioco, dobbiamo dire “mamma ti capisce, non deve essere stato semplice in quel momento, capisco che tu ti sia arrabbiato, vediamo come possiamo fare per cercare di stare meglio”).

Aiutare i bambini a comprendere e a riflettere sulle loro emozioni più intense è fondamentale per lo sviluppo del loro sistema di moderazione dello stress nel cervello

Se di fronte ad una situazione di disagio il bambino viene consolato e ascoltato, preso in braccio e capito, allora un po’ alla volta, si stabilizzerà nel suo cervello un sistema di regolazione dello stress. Quando le emozioni negative non vengono regolate dal genitore o da una persona significativa, il bambino risulterà dal punto di vista dell’adulto faticoso da gestire (ad esempio quando la rabbia non viene regolata da un adulto, può diventare parte costitutiva del suo carattere). Grazie all’elasticità del cervello superiore, non è mai troppo tardi per sviluppare un sistema chimico anti-ansia e un sistema di regolazione dello stress. Ma, più tempo passa, più diviene difficile. Quando la percezione Un bambino sofferente ha bisogno di essere consolato, se piange e grida ha bisogno che qualcuno vada da lui. La voce della madre deve avere un tono empatico e consolatorio da fargli capire che lei vede e ascolta il suo disagio. Quando la percezione del bambino è quella di aver fallito nel comunicare il proprio profondo dolore; quando viene allontanato dall’abbraccio prima di sentirsi completamente consolato e tranquillizzato; quando l’abbraccio non è avvolgente, morbido e affettuoso, allora si scateneranno le emozioni di protesta del bambino.

I bambini non sono in grado di regolare le proprie emozioni troppo intense, l’adulto ha la possibilità di ricoprire il ruolo di regolatore di tali emozioni.
Le fondamentali funzioni regolatrici “adulto-bambino”:

  • sintonizzarsi con l’intensità delle emozioni del bambino: con un’appropriata espressione del viso e il giusto tono di voce, per mostrargli che percepiamo chiaramente la qualità e la forza di quello che prova. In questo modo si sentirà davvero in contatto con l’adulto (se il bambino urla, avvicinarsi con tono pacato e dirgli “sei davvero molto arrabbiato…capisco che tu sia molto scocciato perché non hai potuto avere la tavoletta di cioccolata. “Sei arrabbiato perché Gemma ha preso la tua matita. Deve essere stato proprio brutto per te!”). Può essere opportuno rispondere alla sua energia rabbiosa con una vivace empatia, possiamo anche commentare la forza delle sue emozioni, ad esempio: “Non sei soltanto un po’ arrabbiato, sei molto, molto, molto arrabbiato!”
  • Convalidare la sua esperienza, il modo in cui lui sperimenta un certo evento: bisogna offrire al bambino l’esperienza di una comprensione profonda, un autentico riconoscimento di quello che lui è e di quello che lui prova. Bisogna trovare le parole giuste per le sue emozioni (importanza di nominarle), parole che gli facciano capire che siamo in sintonia con lui. Il nostro compito è quello di aiutarlo a trovare delle connessioni tra le emozioni e le parole. Ad esempio, un bambino chiuso nella sua rabbia non è capace di trovare da solo, non è in grado di riflettere e pensare alla sua rabbia: sa solo come scaricarla. Non aspettiamo quindi che sia lui a trovare le parole per raccontare quello che prova; potrebbe rivelarsi un’attesa molto lunga. Troviamo noi le parole che gli mostrino che abbiamo capito in quale modo lui sta vivendo un evento. Non bisogna cercare di fargli credere che anche noi ci sentiamo come lui, il punto è affermare, comprendere e riconoscere le emozioni che sta vivendo lui. Così non si sentirà più in compagnia soltanto del suo tremendo dolore. E’ la solitudine protratta di fronte a emozioni insopportabile che porta il bambino a sviluppare dei disturbi.
  • Contenere il bambino e le sue emozioni: La funzione di contenimento permette al bambino di sentirsi “sicuro” nel provare le sue emozioni. Ciò significa riuscire ad essere sufficientemente calmi, forti e gentili da riuscire a stare con un bambino emotivamente turbato. Il contenimento può essere anche fisico. Ad esempio, prendere il bambino in braccio con decisione e dolcezza. Anche trovare le parole giuste per le emozioni del bambino lo aiuterà a farlo sentire contenuto. Se il bambino non ha raggiunto lo stadio evolutivo in cui sia in grado di simbolizzare le sue emozioni tramite parole, dobbiamo trovarle per lui, in modo da offrirgli la possibilità di riflettere e pensare alle sue emozioni,

queste   parole   hanno   un   incredibile   potere  di    contenimento.  Quando  un   bambino   è indisciplinato, offrirgli i confini che sta cercando è un ottimo modo per contenerlo.

  • Calmare il bambino: le parole possono non bastare, il bambino può aver bisogno di un tono morbido e di un tocco gentile. Quando il bambino si trova in compagnia di un adulto con cui si sente emotivamente protetto e sicuro, un contatto fisico con queste caratteristiche sarà sufficiente a riportare su valori normali gli ormoni dello stress.

Come aiutare un bambino che sta manifestando comportamenti regressivi.

E’ necessario e importante accogliere questi comportamenti con pazienza, consapevoli che il bambino sta affrontando una difficoltà, ma ce la farà. Si può provare a fargli esprimere il suo disagio, accogliendo anche i comportamenti da bimbo piccolo, ma contestualizzandoli in un gioco: per esempio, si può dire giochiamo/facciamo finta che eri piccolo oppure cosa ha fatto il mio piccolo che è triste/preoccupato? Dobbiamo lasciarlo libero di comportarsi come un bambino piccolo: bere dal biberon, essere preso in braccio, essere imboccato, facendogli però capire che essere autonomi è un grande privilegio che consente di essere più liberi e decidere da soli. Prima o poi si accorgerà che essere piccoli non è comodo e tornerà a comportarsi normalmente. In ogni caso, non bisogna criticare gli atteggiamenti che manifestano un’insicurezza o una paura: più li si accoglie e prima passano! Per superare la crisi, è quindi importante essergli vicino emotivamente. Si tratta infatti di una richiesta di attenzione, che va ascoltata. In genere, se si evita di sgridare il bambino e invece si accolgono con tenerezza le sue difficoltà, il problema si risolve in breve tempo.

Come accogliere e gestire il disagio: cosa evitare per aiutare un bambino che sta soffrendo

E’ necessario non spaventarsi di fronte all’intensità di un’emozione pienamente espressa e sentita. Altrimenti rischiamo di inibire il processo di elaborazione del bambino e il suo venire a capo di quanto è accaduto. Se non ha la possibilità di dare voce alle sue emozioni, piangendo, urlando… in presenza di qualcuno che lo ascolti davvero, è costretto a tenersele tutte per sé. I sentimenti tenuti per se stessi non scompaiono ma anzi, ricompaiono sotto forma di sintomi nevrotici. Il bambino deve beneficiare della presenza di un adulto costantemente presente per tutto il periodo necessario a comprendere il groviglio di emozioni associate all’evento, una dopo l’altra, man mano che affiorano. E’ importante non reprimere le sue emozioni, ma riconoscerle, accoglierle, accettarle e validarle. Il messaggio che deve arrivare al bambino è: “Ti proteggo, ma non reprimo le tue emozioni. Dobbiamo riuscire a stare con le emozioni del bambino, per quanto dolorose esse siano.

Cerchiamo di non chiedere al bambino di calmarsi o di non piangere, nel momento in cui sta manifestando con intensità il suo stato d’animo: ciò equivale a dirgli “E’ sbagliato manifestare questa emozione, non va bene”. Può essere doloroso vedere il proprio figlio triste oppure in preda ad una crisi di collera, vorremmo vederli sempre con il sorriso, ma purtroppo questo è uno scopo irraggiungibile. Quello che è più utile fare è impegnarsi a riconoscere il diritto dei bambini alle loro emozioni.

Cerchiamo di non dare subito e sempre una risposta orientata a eliminare, ridurre, modificare l’emozione del bambino. Se un bambino dovesse dire “Sono triste”, ascoltiamolo. Non è detto che sia sempre utile intervenire per fare in modo che non sia triste, ovvero reagire subito come se ci fosse la sua richiesta implicita “Non mi voglio sentire in questo modo”.

Se il bambino dovesse manifestare comportamenti “infantili”, frasi del tipo “Ti comporti come un bambino piccolo” sono controproducenti: non fanno che aumentare la sua insicurezza. Come reazione, il bambino continuerà ad accentuare ancora di più i propri comportamenti.

Infine, è importante cercare di non costruire delle barriere all’ascolto dei bambini e del loro tentativo di porsi in comunicazione. Queste barriere possono essere in relazione ad una generale indisponibilità mentale, di tempo e di energia, che impedisce di assumere una posizione recettiva di ascolto, fatta di disponibilità e vicinanza emotiva. A volte, i ritmi di vita non ci aiutano ad essere sempre attenti alle richieste dei nostri figli, ma provare a crearsi una spazio di qualità da poter condividere con loro può rappresentare una fonte di aiuto.

Cosa abbiamo già fatto

Di fronte a tutti questi fattori che costituiscono degli “inciampi” educativi, dei fattori di rischio per lo sviluppo del bambino, abbiamo dalla nostra ciò che abbiamo già dato ai nostri bambini, ossia quell’essere una “base sicura” da cui partire alla scoperta del mondo con la consapevolezza di poter tornare per un rifornimento affettivo. Tutto l’affetto che abbiamo dato ai nostri figli, come li abbiamo sostenuti e sorretti fino ad adesso, tutto ciò che abbiamo fatto per loro, favorirà un attaccamento sicuro che in seguito rafforzerà lo sviluppo della personalità e la resilienza del proprio figlio, lo aiuterà a gestire la propria ansia e lo aiuterà nell’elaborazione degli eventi traumatici.

“Ciò che dà al bambino chi se ne prende cura in quei primi anni critici è come ‘una pentola d’oro interiore’. L’idea […] è che ciò che un genitore può dare al figlio colmandolo di emozioni positive è un dono più prezioso di qualsiasi cosa materiale […] è qualcosa che il bambino può portare con sé tutta la vita […] è ciò che conferisce all’individuo la forza di affrontare quelle sfide, la capacità di riprendersi dalle avversità, la capacità di mostrare di soffrire e gioire nell’intimo con gli altri e nelle relazioni con gli altri”(Baron-Cohen, 2012).

Conclusione

Nella vita di tutti i giorni, quella in cui i bambini piangono, si arrabbiano, strillano, quella in cui è possibile che qualche “inciampo” metta a rischio il benessere desiderato, le cose si fanno più complicate. Per l’adulto non è facile orientarsi e scegliere la via più giusta. Mettere in pratica le proprie conoscenze diventa complesso, ma chi procede per tentativi ed errori con tenacia, troverà l’approccio migliore per mettere al centro i bisogni del bambino e prendersene cura.

Estratti del convegno:

Esperienze avverse in ambito educativo e il loro impatto sul bambino
Grosseto, 10 giugno 2016

Bibliografia

  •  D’Ambrosio, C. (2004). Psicologia delle punizioni fisiche. Erikson edizioni.
  •  Giamundo, V. (a cura di) (2013). Abuso e maltrattamento all’infanzia. Modelli di intervento e terapia cognitivo-comportamentale. Franco Angeli Editore.
  •  Perdighe, C. (2015). Il linguaggio del cuore. Erikson edizioni.
  • Romani, V. (2016). La pentola d’oro interiore: la relazione con i genitori nello sviluppo della personalità del bambino. State of Mind.Il giornale delle scienze psicologiche.
  • Sunderland, M. (2003). Aiutare i bambini a esprimere le emozioni. Erikson edizioni.
  • Sunderland, M. (2003). Aiutare i bambini pieni di rabbia e odio. Erikson edizioni.