di
Paolo Rosamilia
Il perfezionismo, in ambito clinico, è inteso come un’eccessiva preoccupazione a commettere errori. Nel DSM-V è inserito come una caratteristica del disturbo ossessivo-compulsivo di personalità:
“Rigida ostinazione sul fatto che qualsiasi cosa debba essere impeccabile, perfetta e senza errori o difetti, incluse le prestazioni proprie e altrui; rinuncia alla tempestività per garantire la correttezza in ogni dettaglio; convinzione dell’esistenza di un’unica modalità corretta di fare le cose; difficoltà a cambiare idee e/o punto di vista; preoccupazione per i dettagli, l’organizzazione e l’ordine.”
Si parla dunque di perfezionismo patologico quando c’è un auto-imposizione di standard elevati e una richiesta eccessiva a sé stessi contraddistinta da un bisogno rigido di organizzazione. La preoccupazione è sulla probabilità di risultare “superficiali”, inadeguati rispetto ad un principio morale sul come si dovrebbero fare le cose (es. se non pulisco a fondo la mia casa mi sentirò una persona sporca).
I meccanismi appena descritti hanno tutti un ingrediente comune, sottendono una percezione di minaccia rispetto alla possibilità di non essere dentro rigidi standard, di conseguenza c’è un’esigenza di organizzazione impeccabile che sfocia in un meccanismo d’ansia (es. se non mi organizzo in modo adeguato non riuscirò a fare tutto e quindi potrei risultare una persona con scarsi valori morali).
Questa eccessiva preoccupazione porta il “perfezionista” ad un’esigenza di organizzazione contraddistinta da aspettative così tanto irragionevoli da compromettere spesso il rendimento individuale.
Ad esempio il perfezionista potrebbe organizzare il pomeriggio decidendo di pulire casa, andare a fare la spesa e sistemare i vestiti nell’armadio. Iniziando con la pulizia della casa potrebbe nascere l’idea che la casa non è adeguatamente pulita (standard elevato) di conseguenza i tempi si dilatano e aumenta l’ansia rispetto alla minaccia di non riuscire a svolgere gli altri compiti prefissati.
Questo porta ad un rimuginio ansioso su come riuscire a svolgere gli altri compiti tanto da inficiare ulteriormente il compito che si sta svolgendo. In questo modo c’è la conferma di non essere una persona adeguata: “non sono riuscito a fare tutto allora vuol dire che sono inadeguato/superficiale/di scarso valore”.
Questo circolo vizioso fa aumentare l’esigenza di organizzazione che diventa un vero e proprio meccanismo compulsivo che occupa gran parte della giornata, in poche parole il “perfezionista” utilizza il suo tempo ad organizzarsi, ad esempio facendo liste o pensando a tutto quello che c’è da fare, non avendo più tempo per svolgere i compiti prefissati.
Questo maccanismo porta ad avere dei forti vissuti di fallimento, infatti, la tendenza a considerare inaccettabile qualsiasi prestazione che non risulti perfetta, sembra essere un aspetto stabile e un fattore significativo di vulnerabilità allo sviluppo di depressione (Rice, Vergara, Aldea, 2006).
Oltre al fallimento c’è la presenza di un forte timore di colpa generato dalla previsione di essere accusato di non aver fatto tutto ciò che costituisce suo dovere, di essere stato superficiale, disattento, di non aver agito nel momento in cui prevenire il danno sarebbe stato possibile e doveroso.
Il disturbo ossessivo di personalità ha un meccanismo sovrapponibile al disturbo ossessivo compulsivo, ovvero un’intolleranza per gli errori colpevoli che motiva la strategia messa in atto per evitarli (il perfezionismo).
Terapia cognitivo comportamentale del perfezionismo
I recenti studi di efficacia mostrano come la terapia cognitivo comportamentale sia la più indicata per il trattamento del disturbo ossessivo compulsivo di personalità di conseguenza risulta efficace per il contrasto dei meccanismi inerenti il perfezionismo.
Le tecniche principali su cui si basa la terapia sono:
- Esposizione combinata con Prevenzione della Risposta che prevede il contatto o esposizione, graduale o prolungata, con la situazione che generalmente innesca i sintomi ansiosi (as. “potrei non fare tutto correttamente”) per un intervallo di tempo maggiore di quello generalmente tollerato; la prevenzione della risposta ossia l’interruzione dei comportamenti generalmente messi in atto dopo il contatto con la situazione (es. cercare di fare tutto nel miglior modo possibile), per un tempo maggiore di quello generalmente tollerato.
- La ristrutturazione cognitiva che consiste nel condurre alla modificazione di convinzioni disfunzionali più o meno consapevoli, relative al mondo esterno e a sè stessi. Attraverso la ristrutturazione cognitiva vengono esaminate le cognizioni del soggetto in riferimento ad un evento insieme con le conseguenti reazioni emotive e comportamentali, l’obiettivo è quello di aiutare il paziente a produrre delle modificazioni nel suo modo di pensare.
In conclusione la terapia cognitivo comportamentale ha l’obiettivo di far abbandonare la logica al “perfezionista”, basata sulla ricerca della prova certa che l’evento temuto non sia possibile, attraverso la gestione dell’attivazione ansiosa e facendo leva sui costi eccessivi delle strategie comportamentali messe in atto, cercando di ristabilire le priorità su “ciò che si deve fare e come farlo”.
BIBLIOGRAFIA
Mancini, F.(2016) La mente ossessiva. Curare il disturbo ossessivo-compulsivo
American Psychiatric Association (APA, 2014) Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione