di
Francesca Batacchioli
Violenza di genere nell’adolescenza: stereotipi e minimizzazione
L’adolescenza è il periodo evolutivo in cui si inizia a strutturare in modo più significativo il contatto con gli altri a livello relazionale e sessuale. Le relazioni si evolvono, acquisendo caratteristiche di maggiore intimità e reciprocità, ma, al contempo, si assiste ad un aumento di aspetti problematici e di dinamiche aggressive legati alla “diversità” nelle sue varie forme (fisica, economica, sociale, etnica, ma anche legata al genere).
Parlando delle differenze di genere, è innanzi tutto necessario operare una chiara distinzione fra i concetti di sesso, di natura biologica, e quello di genere, di natura sociale. Il termine “genere” si riferisce al modo in cui maschi e femmine costruiscono il loro rapporto con il mondo e all’insieme delle norme e delle aspettative sociali relative al proprio e all’altrui sesso.
Norme ed aspettative rigide e stereotipate, se adottate come elementi fondanti della propria identità sociale e personale, favoriscono il radicarsi di gerarchie di potere legate ai ruoli di genere, nonché comportamenti aggressivi e violenti.
Numerosi studi, condotti su popolazioni di teenagers suggeriscono che gli atteggiamenti fondati su credenze stereotipate influenzano fortemente la comparsa di comportamenti orientati al mantenimento di una relazione asimmetrica tra uomo e donna che, sotto varie forme, può sfociare nella “violenza di genere” (O’Keefe, 2005; Spence, Buckner,2000; Nocentini, Menesini, 2008; Leonelli, 2011; Etc.), che è ancora presente in Italia un’ideologia ancora fortemente sessista e stereotipata delle differenze di genere, soprattutto nei maschi (Lombardi, Pizzini , 2001; Etc.) e che permane una tendenza piuttosto diffusa alla giustificazione e alla minimizzazione di comportamenti (verbali e fisici) violenti messi in atto dai ragazzi ( Monacelli, Mancini Zapponi, 2009; etc.).
Tutto ciò deve fare riflettere.
La violenza di genere nell’adolescenza è un argomento delicato e complesso, per questo è necessario evitare generalizzazioni sulla diffusione del fenomeno; d’altra parte non sarebbe prudente ignorare la possibilità che un generale aumento della accettazione delle forme violente di comunicazione e relazione possa contribuire ad aumentare il rischio violenza tra i ragazzi, che saranno gli adulti di domani.
Come si legge sulla Convenzione di Istambul del 2011, emanata dal Consiglio d’Europa, la VIOLENZA DI GENERE può essere definita come:
«Una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini. La Convenzione riconosce la natura strutturale della violenza contro le donne in quanto basata sul genere»
Tipologie di violenza di genere :
Violenza sessuale: in questi termini si fa riferimento a tutte le forme di atti sessuali che avvengono tramite coercizione, come costringere qualcuno ad avere rapporti sessuali contro la propria volontà, avances sessuali ripetute e non corrisposte o azioni sia fisiche che verbali di natura sessuale indesiderate.
Violenza economica: è l’insieme di quelle azioni volte alla privazione di beni di prima necessità, al controllo dei guadagni delle e delle proprietà, al divieto svolgere una determinata occupazione o di prendere parte processi decisionali.
Violenza di genere emotiva e psicologica: comprende atti di bullismo di genere, molestie sessuali, stalking, forme di isolamento, ridicolizzazione, insulti e azioni che sminuiscono il valore della persona, controllo su una persona decidendo chi può vedere o cosa può indossare, allusioni sessuali, barzellette sulla sessualità dei ragazzi e la disponibilità sessuale delle ragazze.
Una ricerca sulla violenza di genere, esaminata da Hagemann-White et al (2010), indica dei fattori specifici che aumentano la probabilità di violenza di genere perpetrata, tollerata e a volte anche considerata accettabile, tra cui:
- La disuguaglianza di genere, sostenuta da credenze normative sugli ambiti delle donne e uomini
- I concetti tradizionali, rigidi della mascolinità
- La raffigurazione degli stereotipi di uomini e donne nei media (es: rappresentazione della donna come oggetto sessuale disponibile e vulnerabile)
- Tolleranza e giustificazione verso alcune forme di violenza di genere
STEREOTIPI DI GENERE e MINIMIZZAZIONE (O GIUSTIFICAZIONE)
Lo Stereotipo (dal greco stereòs = rigido e tupòs =impronta) costituisce il nucleo cognitivo che genera pregiudizio in termini di atteggiamenti e comportamenti. L’uso degli stereotipi consente un processo di semplificazione della realtà, basata su modalità stabilite culturalmente, che guidano la percezione e derivano dal processo cognitivo generale della categorizzazione; se da un lato l’impiego di stereotipi facilita l’adattamento cognitivo-comportamentale dell’individuo nell’ambiente in cui è inserito, dall’altro produce una conseguenza negativa: fuoriuscire dagli schemi previsti dagli stereotipi, può suscitare avversione nei confronti di ciò che “contraddice le credenze su come è giusto essere, o su come ci si deve comportare” (Priulla, 2011).
Lo stereotipo di genere, essendo basato sulle credenze rispetto agli attributi riferiti alle categorie femmina/maschio (l’immagine fisica, l’abbigliamento, gli interessi, il linguaggio, la professione, i ruoli familiari), implica specifiche aspettative culturali rispetto ai due generi. I condizionamenti dettati dagli stereotipi, da cui nessuno di noi è totalmente immune, conducono in estremo ad un ragionamento di tipo dicotomico. Molto diffuso tra gli adolescenti è ad esempio lo stereotipo della femmina classificata in base a due principali polarità “principessa e sposa” vs. “oggetto del desiderio maschile”. La “pericolosità” di questa visione dicotomica risiede nell’adozione di un sistema di valori ed abitudini comportamentali connesse alla cultura del predomino maschile e alle manifestazioni di potere.
Il mass media e i social network, dal canto loro, proponendo non di rado un modello di donna procace, di cui sono esaltate non la personalità e le competenze ma, piuttosto, le qualità fisiche, contribuiscono a generare e rafforzare l’idea che la donna abbia il compito di sedurre, attraverso la propria avvenenza, il genere maschile e che questo debba rispondere alla seduzione.
Le conseguenze di tutto ciò si possono riscontare nelle convinzioni tipiche di una parte degli adolescenti maschi; per fare alcuni esempi, molti ragazzi riconoscono le forme di violenza fisica, ma sono meno portati a riconoscere forme psicologiche (urlare contro il proprio partner o controllare quello che fa o cosa indossa, attribuire alle ragazze appellativi volgari), alcuni di loro considerano giusto il fatto che un ragazzo possa fare pressioni ad una ragazza per fare sesso, molti di loro pensano che se una donna non si veste con abiti succinti e non adotta comportamenti provocanti è difficile che subisca violenza, o ancora buona parte degli adolescenti sono convinti che la violenza contro le donne si limiti ad occasionali e sporadici comportamenti di perdita di controllo”.
Prendiamo in considerazione la storia di Michele…….
Una studentessa di 16 anni, per entrare in classe, deve attraversare un corridoio vicino alla palestra. La studentessa indossa spesso pantaloni e maglioncini attillati. Non di rado un gruppo di ragazzi raccolti di fronte alla porta della palestra commentano il suo passaggio con allusioni sessuali su di lei – “guarda che corpo! Ti farei…. etc. “– finché un giorno uno di questi ragazzi, Michele, 15 anni, non la tocca il sedere mentre lei cammina. La studentessa si rivolge alla Dirigente scolastica. Michele viene sospeso per tre giorni. Sia Michele che i suoi genitori protestano con la Dirigente minimizzando il comportamento ed accusando la scuola di aver trattato Michele da “maniaco”. I genitori, sostenuti purtroppo da alcuni insegnanti ed altri genitori, anche di fronte alla Dirigente mostrano lo stesso atteggiamento di giustificazione dell’accaduto mostrato dal figlio Michele, sostenendo che “certe ragazze non dovrebbero vestirsi in modo da attrarre l’attenzione dei ragazzi se non vogliono essere importunate”.
Come si può dedurre dalla storia di Michele, si riscontra, per fortuna non nella maggioranza delle situazioni che si presentano, ma comunque in casi non isolati, un atteggiamento degli adulti improntato alla minimizzazione, tolleranza e giustificazione verso alcune forme di violenza di genere, nonché alla legittimazione dell’uso di stereotipi di genere disfunzionali, nelle modalità relazionali con l’altro sesso.
COSA SI PUO’ FARE?
I ragazzi hanno bisogno di adulti che promuovano atteggiamenti positivi nei confronti delle loro relazioni al fine di respingere quei valori e credenze che si basano su comportamenti violenti. Nel concreto questo significa poter beneficiare di forme di intervento improntate a:
- stimolare il pensiero critico: distinzione tra fatto ed opinioni, essere consapevoli dei pregiudizi e dei preconcetti
- esplorare l’impatto dei ruoli di genere “rigidi” nei confronti della loro identità e comportamenti, destrutturando credenze stereotipiche disfunzionali.
- migliorare la conoscenza e la comprensione della natura della violenza di genere e le sue cause in materia di applicazione dei ruoli di genere e la disuguaglianza di genere.
- imparare a porsi nel punto di vista dell’altro
- non cadere nelle strategie di minimizzazione e giustificazione, né nelle credenze di eccessiva demonizzazione e colpevolizzazione, ma imparare ad assumersi le proprie responsabilità
- fare propri modelli di relazione tra i generi basati sul rispetto reciproco e sulla valorizzazione delle differenze
Oltre ai necessari progetti di prevenzione, promossi da Scuole, Centri ed Assiciazioni anti-violenza, risultano assai utili per i suddetti scopi, interventi individuali e di gruppo, condotti da psicoterapeuti dell’infanzia e dell’adolescenza, nonché interventi di sostegno alla genitorialità e percorsi di parent trainig.
Bibliografia:
Burgio, G. (2014). Genere, violenza e desideri in adolescenza. In M. T. Gusmano B., Di che genere sei? Prevenire il bullismo sessista e omotransfobico. Bari: La Meridiana
De Caroli M. E., (2005) Categorizzazione sociale e costruzione del pregiudizio. Riflessioni e ricerche sulla formazione degli atteggiamenti di “genere” ed “etnia”. Franco Angeli Editore.
Isola L., Romano G., Mancini F. (2016) Psicoterapia cognitiva dell’infanzia e dell’adolescenza. Nuovi sviluppi. Franco Angeli Editore.
Menesini E., Nocentini A., (2008), Comportamenti aggressivi nelle prime esperienze sentimentali in adolescenza. Giornale Italiano di Psicologia, 2, 405-430
O’Keefe, M. (2005). Teen dating violence: a review of risk factors and prevention effort. Harrisburg, PA: National Resource Center on Domestic Violence.
Riva, E. (2004). La formazione dell’identità maschile e femminile. In A. M. G. Pietropolli
Rodenhizer K.A.E., Edwards K. (2017) M.The Impacts of Sexual Media Exposure on Adolescent and Emerging Adults’ Dating and Sexual Violence Attitudes and Behaviors: A Critical Review of the Literature.
Spence, J. T., Buckner C. E. (2000). Instrumental and espressive traits, trait stereotypes, and sexist attitudes: what do they signify? Psychology of Women Quarterly, 24, 44-62
Vianello, R. (2004). Psicologia dello sviluppo: infanzia, adolescenza, età adulta, età senile. Bergamo: Junior
http://www.medinstgenderstudies.org/wp-content/uploads/ManualY4Y_IT1.pdf
http://www.noidonne.org/articoli/violenza-sulle-donne-i-giovani-come-la-pensano-01772.php