di
Cecilia Lombardo
La nostra mente commenta continuamente quello che succede, dà giudizi, cataloga, ci paragona agli altri. I pensieri sono come una radio perennemente accesa, di cui non disponiamo il pulsante “off”, e nemmeno i tasti che ne regolano il volume. A volte le trasmissioni propongono il programma della giornata che ci aspetta, o immagini piacevoli sulla vacanza dei sogni, altre volte riflessioni sugli eventi, dubbi, o magari autoistruzioni. Può capitare che il tono di voce di questo “speaker” sia neutro, o serio, o ironico, o allarmato, certe volte può anche diventare aspro e critico. Può dirci, per esempio: “Che figura che ho fatto ieri al lavoro, non ne combino una giusta!”; “Sono sola, non ho nessuno che mi apprezzi per quello che sono!”; “Non ci si può fidare di nessuno”; “Sono inadeguato”; “Mi sento una fallita”.
Questo tipo di pensieri suscitano emozioni negative come tristezza e vergogna, ci fanno provare profondo disagio. Siamo abituati a prendere sempre sul serio i nostri pensieri, li riteniamo veri per il solo fatto che ci passano per la mente. E invece sono parole, solo parole. Ma che hanno un grande potere.
Spesso i nostri pensieri sono utili, ci aiutano nelle riflessioni, nel fare ordine mentale, nel programmare le nostre azioni. Alcune volte ci incoraggiano, quando per esempio, di fronte ad una giornata impegnativa, ci diciamo: “Dai, ce la puoi fare!”. Ma può capitare anche che, al contrario, questi pensieri ci abbattano, siano parole di auto-accusa, di svilimento, offrano una visione catastrofica di noi o della realtà. Poco importa quanto siano realistici, il fatto è che questi pensieri non offrono soluzioni ai problemi, non ci suggeriscono come migliorare la nostra vita e i nostri rapporti.
Significa che dobbiamo dirci che siamo sempre bravi e adeguati? No. Possiamo tranquillamente ammettere di avere avuto torto in un certa situazione, o di non aver raggiunto certi obiettivi. Non si tratta infatti di tacere le nostre parti negative, bensì di smettere di dare retta a pensieri inutili perché distruttivi. Una critica globale, ad esempio, come “faccio schifo”, o “sono un idiota” non è utile per migliorarsi.
Esiste una tecnica, che si chiama defusione, che aiuta a prendere le distanze da questi pensieri e a trattarli come pettegolezzi malevoli, a cui conviene concedere poca o nessuna attenzione. L’espressione “defusione” fa riferimento alla possibilità di smettere di essere “fusi” con i nostri pensieri, di distanziarci da loro, percependoli come un prodotto della mente.
Si tratta di una risorsa-chiave dell’ ACT, l’Acceptance and Commitment Therapy, uno dei filoni della terapia cognitivo comportamentale di terza generazione. Secondo tale approccio, la mente è una grande narratrice di storie, e non tutte meritano il nostro tempo e le nostre energie, meno che mai le “storie” che ci affliggono senza avvicinarci agli obiettivi desiderati. La domanda da porsi, quindi, per capire se un pensiero è utile o meno è “se gli presto attenzione, mi aiuta a costruire la vita che vorrei?”
Di seguito si riportano alcuni esercizi per prendere le distanze dai pensieri inutili:
- a) Scegli un pensiero inutile (es. “sono sbagliato”) e convincitene il più possibile; nota che effetto fa dentro di te, prenditi qualche secondo e osserva le reazioni che ti suscita.
- b) Poi prova a dirti “Sto avendo il pensiero che …. (ad es. sono sbagliato) e nota che effetto fa
- c) Prova a dirti “Noto che sto avendo il pensiero che (ad es. sono sbagliato) e nota cosa succede.
- a) Prendi il pensiero nella sua forma originaria (es. sono sbagliato/a) e credici il più possibile per qualche secondo. Nota l’effetto.
- b) Immagina un pensiero inutilmente disturbante pronunciato con la voce di un comico, o di un personaggio dei cartoni animati, o di tua nonna. Nota che effetto fa.
3) a) Prendi il pensiero nella sua forma originaria (es. sono sbagliato/a) e credici il più possibile per qualche secondo. Nota l’effetto.
- b) Immagina di canticchiare dentro di te questo pensiero sulle note di “Jingle bells”, o “Tanti auguri a te”. Canta in silenzio dentro di te. Nota l’effetto che fa.
- a) Prendi il pensiero nella sua forma originaria (es. sono sbagliato/a) e credici il più possibile per qualche secondo. Nota l’effetto.
- b) Immagina di leggere la frase disturbante su un manifesto attaccato al muro, che noti passando. Osserva l’effetto che fa.
5) a) Parti sempre dal pensiero nella forma originaria, come sopra.
- b) Immagina questa frase scritta su un camioncino che sfreccia accanto a te.
6) Immaginala stampata sulla maglietta di un passante.
7) Dì a te stesso/a “Questa è la solita vecchia storia del (es. ‘non piaccio a nessuno’)
Questi sono solo alcuni esempi, in realtà gli esercizi di questo tipo si possono inventare , e provando, si arriva a capire quali colgono di più nel segno. Perché si diventi abili nella defusione, gli esercizi vanno fatti, non solo letti, vanno provati e riprovati, come per qualsiasi nuovo apprendimento.
L’obiettivo della defusione è percepire una distanza tra sé e il pensiero, non si tratta infatti di cambiarlo, non che questo sia vietato, ma non fa parte della tecnica. Può darsi che, sentendo questo distacco, le emozioni di modifichino di conseguenza, questo è un effetto secondario positivo che può accadere o meno. L’obiettivo è raggiunto quando si percepisce che il pensiero è qualcosa di diverso da sé, è una narrazione, sono parole, solo parole.
Bibliografia
Hayes S.C., Smith S. (2010) Smetti di soffrire, inizia a vivere. Franco Angeli Editore.
Harris R. (2016) Fare ACT. Una guida pratica per professionisti dell’Acceptance and Commitment Therapy. Franco Angeli Editore.
Harris R. (2010) La trappola della felicità. Edizioni Erickson.
Harris R. (2006) Embracing your demons: An overview of acceptance and commitment therapy. Psychotherapy in Australia 12 (4), 70.
Numerose sono le risorse in rete ch offrono stimoli o esercizi in stile ACT, citiamo solo alcuni video
“Demoni sulla barca”
“Freni mentali per evitare crolli mentali” – “Mental brakes to avoid mental beakes” TED x Davidson Academy