di
Giulia Paradisi

 

 

Le conseguenze psicologiche della condizione che stiamo vivendo in questo periodo storico possono essere molteplici e anche nettamente diverse tra loro: alcune sono già constatabili, altre saranno più chiare e definibili quando l’emergenza sanitaria da SARS-CoV-2 sarà cessata.

Tuttavia, è facilmente ipotizzabile che le emozioni più esperite nella popolazione siano comuni ad ogni (o quasi) individuo: oggi più che mai stiamo sperimentando di trovarci tutti sulla stessa barca, stiamo condividendo un’esperienza che, seppur difficile e caratterizzata da molte variabili incognite, investe le vite di tutti noi.

Cercherò di individuare qualche distinzione tra le varie manifestazioni emotive rintracciabili in chi, oggi, sta vivendo una situazione molto delicata e per certi versi sconosciuta. Le categorie a cui farò riferimento sono le seguenti:

 

  • chi, tutto sommato, male non sta
  • chi si trova imbrigliato in emozioni troppo intense e sperimenta problematiche emotive
  • chi sta vivendo un vero e proprio trauma.

 

Nella prima parte di questo articolo prenderò in considerazione i primi due punti.

 

 

 

Sono chiuso in casa ma non mi sento stressato: avrò qualcosa che non va?

La prima considerazione che vorrei fare in apertura di articolo è il frutto di una riflessione del tutto personale, maturata in questo periodo di quarantena, e che è iniziata a partire dall’osservazione della condizione che molti dei miei pazienti stanno sperimentando. Quando poi mi è capitato di leggere l’articolo di C. Perdighe (“Covid-19: è utile parlare di trauma?”) è stato per me evidente constatare che il mio pensiero fosse condiviso anche da altri colleghi e che quindi, probabilmente, l’esperienza delle persone che seguo in terapia non sia poi così isolata ed atipica. Proverò a spiegare quello che ho verificato negli ultimi tempi parlando con i pazienti tramite sedute telefoniche, videochiamate e scambi di messaggi: una buona parte di loro non sta peggio di prima, i loro sintomi o difficoltà non sembrano essere stati così acuiti dall’isolamento imposto dall’emergenza sanitaria e addirittura, in alcuni casi, qualcuno riporta di sentirsi meglio.

Il concetto che sto cercando di esprimere non è, evidentemente, che la pandemia stia generando benessere emotivo ma che, in alcuni casi, non c’è da stupirsi se non ci si sente poi così male: ci sono infatti persone che in condizioni di normalità tendono ad evitare le interazioni con gli altri, oppure situazioni più o meno ansiogene (mezzi pubblici, spostamenti, allontanamenti da casa, ecc) o comunque a sentirsi molto angosciate nell’affrontare contesti di vita per qualche motivo problematici o vissuti soggettivamente come tali (ad es. lavorativi, sociali, ecc).

E’ chiaro che in questo momento storico molti evitamenti sono forzati: nella maggior parte dei casi “non posso lavorare”, “per nessun motivo posso frequentare gli amici”, “non posso spostarmi liberamente come facevo prima”…

Alla luce di queste considerazioni, quindi, se dovessi sentirmi non particolarmente sotto stress (o addirittura sollevato!) in una condizione che vede messa in stand-by la mia quotidianità, questo potrebbe non essere così “strano”. Semplicemente, potrei avere un buon pretesto (difatti la legge me lo impone!) per non uscire allo scoperto ed affrontare situazioni che vivo solitamente come problematiche, stressanti e potenzialmente minacciose. Quindi, la mia ansia si riduce. Ergo, sto meglio.

Andiamo invece ora a vedere i possibili esiti problematici a cui l’emergenza sanitaria da SARS-CoV-2 può comportare nella popolazione.

 

 

 

Reazioni comuni e reazioni problematiche

Ci sono molte altre situazioni nelle quali l’emergenza sanitaria da Covid-19, al contrario, può generare nelle persone difficoltà emotive più o meno importanti. Alcune reazioni che questa situazione sta producendo in tutti noi sono ormai abbastanza evidenti e accomunano tutti gli individui di questo mondo (chi più chi meno), nessuno escluso. Cercherò di passare brevemente in rassegna le risposte emotive più comuni.

Ci troviamo in un momento storico di grande cambiamento, che è iniziato qualche settimana fa e che, ancora oggi, è in rapida evoluzione.

 

Alla reazione iniziale di incredulità, nel momento in cui il virus ha fatto l’ingresso a “casa nostra” portandoci a realizzare che “poteva accadere anche a noi”, si è rapidamente succeduta una fase di paura, con la percezione di mancanza di sicurezza: abbiamo percepito che il mondo non è più un posto sicuro, ma soprattutto che non è più prevedibile. Ancora oggi viviamo in una specie di bolla in cui è cambiata la vita che conoscevamo, come aver smarrito un po’ le coordinate delle nostre esistenze. E’ cambiata la nostra capacità di fare programmi, di pianificare, si è bloccata la nostra progettualità. Tutto questo ci fa sentire ovviamente più deboli, più vulnerabili e questa serie di cose può generare emozioni più o meno intense di paura e di ansia.

 

Inoltre, altro aspetto importante, tutti noi stiamo sperimentando in qualche modo la perdita: la perdita legata alla separazione fisica dai nostri familiari, dai nostri amici, delle nostre routine quotidiane (sociali, lavorative, ludiche, sportive). Abbiamo perso molta della nostra libertà (di muoverci, di fare programmi, ecc). Questo normalmente porta dietro di sé emozioni di tristezza, di angoscia, oppure sensazioni di costrizione, ma anche di impotenza.

 

Se tutte le reazioni descritte si presentano in una dose limitata, allora possono esserci utili ad affrontare la situazione problematica.

 

Ad esempio, la paura, è fondamentale per la nostra difesa e per la sopravvivenza: se non la provassimo non riusciremmo a metterci in salvo da eventuali rischi. Una giusta dose di paura e di allerta sono quindi necessarie, anzi fondamentali per poterci attivare senza perdere di lucidità e fronteggiare al meglio il pericolo. Se siamo preoccupati dalla possibilità di poterci contagiare, ad esempio, potremo adottare tutte le precauzioni utili per poter ridurre al minimo il rischio infettivo.

Il limite fra una funzionale attivazione (stress positivo) e un eccesso di allerta con comportamenti poco lucidi e controproducenti (stress negativo) è però molto sottile. In questo periodo abbiamo assistito (in prima persona, tramite tg o sui social) a vari esempi di reazioni eccessive alimentate dalla paura, che ci fanno ben intuire come le emozioni “in eccesso” possano portare ed esiti controproducenti: affollare i supermercati per rifornirsi ossessivamente di scorte alimentari ha portato a concentrare parecchie persone in spazi chiusi con la possibilità di favorire la diffusione del virus, oppure a far mancare certi alimenti a chi non era corso subito al supermercato, scappare da Milano con la corsa all’ultimo treno è un altro esempio di comportamento disorganizzato, irrazionale e pericoloso per la salute propria ed altrui.

Inoltre, se la paura è eccessiva può sfociare in panico o ansia generalizzata, per cui un pericolo limitato e contenuto di contagio viene generalizzato percependo ogni situazione come rischiosa ed allarmante, in altri casi ancora può prendere la forma dell’ansia per la salute (ipocondria), intesa come tendenza a preoccuparsi eccessivamente per il proprio stato di salute, portandoci a percepire ogni minimo sintomo come un segnale inequivocabile di infezione da Coronavirus (come ben spiegato nell’articolo “Ansia per la salute e pandemia COVID-19: informazioni ed indicazioni per conoscerla ed affrontarla” di F. Batacchioli).

Il panico può anche essere elicitato da una maggiore esposizione a situazioni connotate da costrizione (in senso fisico o psicologico) e/o da solitudine (Gragnani, A, Paradisi, G. & Mancini, F., 2011).  Ancora, sono diffuse la paura di perdere il lavoro, la difficoltà di immaginare scenari futuri, il timore di non poter assicurare un benessere economico alla propria famiglia, ecc.

 

Altre emozioni che possono comparire sono la colpa, la rabbia e la noia.

 

La colpa, ad es. se positivi al Covid-19, è legata alla percezione di responsabilità di essere veicolo del contagio, per aver infettato altre persone; altri possono sperimentare il timore di colpa (ad esempio persone asintomatiche che temono di essere portatrici sane e di poter contagiare altri).

Altri ancora possono sentire il senso di colpa del sopravvissuto, nel caso per esempio in cui una persona a loro vicina è risultata positiva mentre loro no e quindi potrebbero sentirsi immeritatamente “salvi”.
La rabbia per tutte le cose che non si riescono a fare, per l’impossibilità di rivolgersi a qualcuno su cui scaricare il nostro senso di ingiustizia, perché in effetti non c’è un colpevole definito, non c’è nessuno a cui dare la colpa di questa situazione. Alcune persone, tuttavia, al senso di impotenza reagiscono cercando di identificare un colpevole per tornare a percepire un livello di controllo su cosa fare, su come farlo e su chi punire. Alcune manifestazioni possono essere: la rabbia e il giudizio verso gli “untori”, la ricerca compulsiva di informazioni in internet su teorie alternative che indicano “un colpevole” (teorie del complotto).

Ma la rabbia può essere anche innescata da convivenze forzate all’interno di nuclei familiari più o meno conflittuali, o esacerbata da situazioni costrittive (piccole abitazioni, senza la possibilità di avere un’area all’aperto), in cui non c’è modo di ritagliarsi degli spazi personali.

 

C’è poi il senso di impotenza, generata anche dal fatto che siamo gli uni nelle mani degli altri, quindi è evidente che se tutti seguiamo le regole utili al bene comune possiamo cooperare per la salvaguardia della comunità, se invece ciascuno di noi agisce di propria iniziativa ci rimettiamo tutti. Di qui è possibile assistere alla nascita di problemi relativi al controllo e all’auto-efficacia (“E’ tutto inutile, sono in balia degli eventi, non posso fare nulla”), con conseguente ansia e/o abbattimento. L’impotenza talvolta può essere data anche dal non poter assistere i propri familiari (o amici) che si sono ammalati, che sono ricoverati, dal fatto che non si può essere loro vicini nei momenti più duri, fino all’impossibilità di accompagnarli per l’ultimo saluto (un dramma frequentemente vissuto in questo periodo è infatti proprio l’impossibilità di celebrare i funerali delle vittime, che può portare alla difficoltà di elaborazione del lutto per i cari della vittima).

 

Rispetto alla noia, è facile immaginare come in questa situazione di isolamento e blocco delle normali attività, le persone tendano ad esperirla più frequentemente: la noia può essere definita come uno stato transitorio in cui l’individuo prova senso di frustrazione, carenza di intenzionalità e una sensazione di dolorosa alienazione dalla realtà che viene percepita come senza senso e inutile (Maggini e Dalle Luche, 1987). La noia “patologica” è similare a quella “normale”, ciò che varia è la permanenza del soggetto in questo stato emotivo, condizione che, a lungo termine, potrebbe generare una notevole sofferenza dalla quale l’individuo tenta di uscirne attraverso comportamenti disfunzionali e rischiosi (uso di sostanze stupefacenti, abuso di alcol, gambling, bulimia, spese impulsive) che, spesso, provocano un danno al funzionamento globale dell’individuo (per approfondimento si rimanda alla lettura dell’articolo “No, non ho detto gioia, ma noia, noia, noia…maledetta noia” di L. Lari). In questo senso, anche la noia, che come tutte le altre emozioni è “normale” e fisiologica, può però portare la persona che la sperimenta a reagire ad essa in maniera disfunzionale o addirittura patologica.

Per approfondimenti

 

 

Gragnani, A, Paradisi, G. & Mancini, F. (2011). Un modello cognitivo del Disturbo d Panico e dell’Agorafobia: Aspetti psicopatologici e trattamento. Psicobiettivo, vol 31 (3), 36-54

 

 

Maggini C, Dalle Luche R (1987). Per una psicopatologia della noia. Alcuni richiami storicialle relazioni tra noia e melanconia. Rivista sperimentale di Freniatria 111, 1119-1139.

 

 

Ofri D. (2009). The emotional epidemiology of H1N1 influenza vaccination. N Engl J Med., 36(27): 2594-5. DOI: 10.1056/ neJmp0911047

 

 

Webinar online: Psicologia dell’emergenza ed EMDR  ai tempi del Coronavirus. Dott.ssa Giada Maslovaric Psicologa Psicoterapeuta Facilitator e Supervisore EMDR C.R.S.P. Milano

 

 

Webinar online: Trauma e resilienza. PhD Roger Solomon, Istituto Apa

 

 

https://www.cognitivismo.com/2020/04/06/covid-19-e-utile-parlare-di-trauma/

 

 

https://www4.ti.ch/dss/dsp/covid19/home/

 

 

http://www.psicoterapia-cognitiva.it/ansia-per-la-salute-e-pandemia-covid-19-informazioni-ed-indicazioni-per-conoscerla-ed-affrontarla/

 

 

http://www.psicoterapia-cognitiva.it/no-non-ho-detto-gioia-ma-noia-noia-noiamaledetta-noia/