di
Paolo Rosamilia
In questi tre mesi di emergenza la nostra vita è estremamente cambiata permeata da un profondo senso di insicurezza. A seguito delle misure restrittive, che hanno coinvolto tutti, è aumentato il senso di fiducia verso le istituzioni e si è sviluppata una crescente solidarietà sociale.
I sondaggi politici degli ultimi anni (Demos dal 2018) hanno mostrato come ci sia una crescente voglia di un “capo” di un leader forte.
Secondo questi dati, l’emergenza Covid ha reso esplicita questa tendenza soprattutto fra coloro che si sentono più inquieti e minacciati dalla situazione contingente.
Nelle ultime settimane le democrazie occidentali stanno rallentando gradualmente le restrizioni delle libertà personali adottate fino ad ora, non sta avvenendo lo stesso però in molte dittature o regimi autoritari, dove alcuni leader approfittano dell’allerta per reprimere le opposizioni di sempre, mettere a tacere la stampa più critica, o ampliare la presa sulle istituzioni. Netanyahu in Israele, Bolsonaro in Brasile, Erdogan in Turchia, Duterte nelle Filippine e soprattutto Orban in Ungheria hanno sfruttato la crisi del coronavirus, come avviene per la maggior parte delle crisi, per trasformare i loro regimi in veri e propri stati totalitari.
In uno studio di Fleishman è stato realizzato un questionario The Leader Behavior Description Questionnaire (LBDQ) volto ad indagare i comportamenti di una leadership efficace. Dallo studio è emerso che i due comportamenti più importanti sono la considerazione, riferita alla disponibilità del leader a occuparsi del benessere delle collettività, ad avere fiducia e rispetto nei loro confronti, e a trattarle con giustizia; e la promozione di struttura, riferita alla capacità del leader di definire e organizzare il ruolo delle persone in relazione agli obiettivi da raggiungere.
Dunque, secondo questo studio, il leader efficace è in grado di far fronte all’emergenza attraverso azioni che coinvolgono e danno fiducia a tutta la popolazione in generale.
In condizioni di pericolosità e minaccia le persone si conformano al giudizio della collettività con lo scopo di giungere alla formulazione di norme sociali condivise che sono considerate adattive e funzionali alla sopravvivenza.
E noto già dagli anni 50 (Ash) che in situazioni di emergenza le persone si conformano a quello che pensano gli altri, anche se questo è in palese contrasto con la propria percezione del mondo. Per stabilire che quello che noi pensiamo è corretto, che la nostra valutazione è esatta, noi ricorriamo a due fonti di informazioni, quella che deriva dai nostri stessi sensi e quella che gli altri dicono, e questo si estremizza in situazioni di forte emergenza soprattutto se legata alla minaccia della nostra sopravvivenza. E benchè noi tendiamo a fidarci della nostra percezione della realtà, è anche vero che la maggior parte delle informazioni sul mondo, che ci circonda ci proviene dagli altri. Anzi, per poter vivere in una situazione di isolamento forzato o di lockdown abbiamo l’esigenza ancora più stringente di vedere il mondo nello stesso modo in cui lo vedono le altre persone; è questa la base per avere le relazioni con gli altri.
Secondo gli studi di Levine e Moreland, in quasi tutti i gruppi sociali è possibile rintracciare il ruolo del leader dal quale ci si aspetta che svolga essenzialmente due tipi di funzione:
- Che sappia essere un leader socio-emozionale in grado di far procedere il gruppo in un’atmosfera armoniosa e coesa, tendendo conto dei sentimenti e degli umori dei singoli. Sovrapponibile al “leader democratico” descritto da Lewin che nasce come risultato di un processo di dibattito collettivo; in questo il leader agisce in un ruolo di esperto che consiglia i subordinati e, naturalmente, può intervenire nella decisione finale se necessario.
- Che sia in grado di essere un leader centrato sul compito, ovvero che abbia come costante preoccupazione il raggiungimento da parte del gruppo dei suoi scopi.
Da questi studi è emerso che quando ci si trova in una contingenza dove il leader ha un controllo molto basso della situazione, come nel caso dell’attuale situazione di pandemia, è molto più efficace un leader orientato sul compito a scapito di un leader democratico più orientato a curare gli aspetti socio-emozionali della popolazione.
D’altronde tutti noi abbiamo accettato ben volentieri e in maniera oculata la limitazione alla nostra libertà personale, condizione che ha favorito la persecuzione di due degli scopi innati dell’essere umano, ovvero quello della ricerca della determinazione del sé tramite l’autonomia, la conoscenza profonda e la vicinanza di altri (Ryan, Deci 2000), e quello volto a gestire il terrore, la paura di morte imminente (Solomon, Greenberg e Pyrzczyniski).
Dunque è facile immaginare come, nella situazione di emergenza attuale, il leader più autoritario e meno democratico sia più rassicurante e in grado di arginare il senso di minaccia collettivo che ci spinge ad essere più conformi al pensiero altrui.
Bibliografia
Ash S.E (1956), Opinions and social pressure, Scientific American 193, 31-35
Levine & Moreland (1990), Progress in small group research, Annual Review of Psychology, 41, 585-634
Ryan & Deci (2000), Intrinsic and Extrinsic Motivations: Classic Definition and New Directions, Contemporary Educational Psychology 25(1):54-67