di
Silvia Timitilli
Intorno al termine “alcolismo” vi è molta confusione e timore. Il timore nasce dalla consapevolezza che l’alcolismo sia una problematica seria, difficile da gestire e dalla quale è davvero arduo uscire. L’alcolismo è una condizione che conduce non solo a gravi problemi di salute, ma anche ad isolamento e ostracismo sociale ed è dunque una realtà che spaventa. Possiamo trovarci, allora, dinnanzi a eccessivi allarmismi oppure a preoccupanti sottovalutazioni.
L’utilizzo di alcol è un elemento che ritroviamo in diversi disturbi psicologici, dalla Fobia Sociale, passando per il Disturbo Bipolare, fino a giungere ai Disturbi di Personalità, come il Disturbo Borderline (BPD) e, anche se in misura minore, il Disturbo Paranoide di Personalità (PPD) e il Disturbo Evitante di Personalità (APD) (Zamboni et al., 2018).
Il ricorso a sostanze psicoattive, nei diversi disturbi citati, sembra avere un’unica matrice comune: si tratta di una strategia di fronteggiamento della sofferenza, una sorta di auto-medicazione (self medication, Khantzian, 1985) che ha lo scopo di creare sollievo da sintomi e emozioni sgradevoli. Il ricorso all’alcol, ad esempio, è frequentemente iniziato con scopi “ansiolitici” o per mitigare la tristezza, ma anche altre emozioni possono essere messe illusoriamente “a tacere” grazie ad esso, ad esempio la rabbia, l’imbarazzo o una profonda vergogna. Il ricorso sistematico alle sostanze per gestire o, meglio, allontanare le emozioni sgradevoli ha importanti ripercussioni sull’individuo. Una prima e drammatica conseguenza è che la persona si convince di non avere altri strumenti per affrontare la propria sofferenza se non la sostanza. Nella convinzione di non essere in grado di gestire autonomamente il proprio dolore, la persona va alla ricerca sistematica della sostanza e questo meccanismo rappresenta la via regia che conduce allo sviluppo della dipendenza.
Cosa s’intende per dipendenza?
La dipendenza da sostanze viene definita dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) come “condizione psichica e talvolta anche fisica, derivante dall’interazione tra un organismo vivente e una sostanza tossica, e caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni, che comprendono sempre un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione” (Pigatto, 2004).
La dipendenza può dunque assumere due differenti sfumature, psichica e/o fisica:
- per dipendenza psicologica s’intende il bisogno incontrollabile di utilizzare la sostanza, che viene usata per modificare il proprio umore e creare sensazioni piacevoli come gioia o un senso di incremento della propria autostima.
- la dipendenza fisicaconsiste invece in una condizione indotta da alcune, ma non tutte, le sostanze di abuso, e si manifesta quando l’utilizzo ripetuto di una sostanza cambia il modo in cui il nostro cervello distingue le sensazioni piacevoli e spiacevoli. I sintomi di astinenza sono la conseguenza di questo cambiamento, nel momento in cui il cervello ne avverte la mancanza.
L’alcol rientra in quelle sostanze di abuso in grado di indurre entrambi i tipi di dipendenza appena descritti.
Che cos’è l’alcolismo?
La dipendenza alcolica o alcolismo è una malattia cronica recidivante e potenzialmente mortale, caratterizzata da alterazioni comportamentali, fisiche e psichiche causate dal consumo compulsivo di quantità elevate di alcol. Si tratta di un disturbo in cui l’individuo perde il controllo sulla sua abitudine al bere: la persona avverte un desiderio irresistibile di assumere alcol, il cosiddetto craving, caratterizzato dalla tensione a consumare la sostanza, il pensiero ossessivo ricorrente del bere, la necessità di bere frequentemente e, una volta iniziato ad assumere bevande alcoliche, la tendenza a berne grandi quantità, perdendo la possibilità di moderarsi.
Nell’alcolismo vi è dunque un comportamento di ricerca compulsiva di bevande alcoliche e presto il bevitore svilupperà tolleranza, quel fenomeno per cui, per raggiungere il medesimo effetto desiderato, la persona sarà costretta ad assumere quantità sempre maggiori della sostanza.
Come per qualunque dipendenza da sostanze, anche nell’alcolismo la brusca interruzione del consumo di alcol causa la sindrome da astinenza, una condizione in cui la persona attraversa tipicamente quattro stadi che possono giungere a una gravità tale da costituire un’emergenza medica. Nel primo stadio, che inizia tipicamente dopo 6-12 ore dall’ultima ingestione, il paziente presenta tremori delle gambe e delle mani, è ansioso e irrequieto; successivamente, 24 ore circa dopo l’ultima assunzione, compaiono allucinazioni uditive, tattili e olfattive (l’alcolista in astinenza tipicamente vede piccoli insetti e vermi che camminano sui muri o sulla sua pelle; arriva a “sentirseli” camminare addosso). Nel terzo stadio, dalle 6 alle 48 ore dalla sospensione di alcol, si possono aggiungere ai precedenti sintomi le convulsioni (40% singole, 3% stato epilettico). Il quarto stadio o Delirium Tremens (compare 2-3 giorni dopo la sospensione dell’alcol ma l’esordio può avvenire fino a 10 giorni dell’assunzione di alcol se sono coinvolte altre sostanze) rappresenta la condizione più pericolosa della sindrome da astinenza alcolica: il paziente appare vigile ma profondamente confuso, è agitato, suda abbondantemente e presenta allucinazioni, tachicardia e ipertensione. Se non si interviene rapidamente, questa condizione porta a morte un soggetto su tre (ma anche con i trattamenti più adeguati la condizione è gravata da un tasso di mortalità del 5-15%). La chetoacidosi alcolica costituisce un’altra emergenza medica che compare da 2 a 4 giorni dopo che il paziente alcolista ha smesso di assumere alcol, ma anche di bere e di mangiare (in genere per problemi come gastrite e pancreatite). Il paziente presenta nausea, vomito, dolori addominali, appare disidratato e ha un alito aceto nemico (odore di mele marce); questa complicanza accade quando l’individuo ha esaurito le sue scorte di carboidrati e acqua e per trovare energia deve bruciare proteine e grassi, che producono appunto corpi chetonici.
È ipotizzabile che i sintomi riportati nei primi stadi della sindrome di astinenza (ansia, irrequietezza, ecc.), se non appropriatamente riconosciuti, possano essere interpretati dalla persona come ulteriore prova della propria incapacità di gestire in modo diverso la sofferenza, andando dunque a mantenere e rinforzare il comportamento di abuso.
Spesso, nella storia di pazienti alcolisti, si ritrovano tentativi infruttuosi di ridurre da soli l’uso di alcol, nella convinzione, sostenuta spesso anche da familiari e amici, che si tratti solo di una questione di “forza di volontà”. La persona alcolista, a quel punto, potrà sentirsi sempre più sola e sconfitta, non sentendosi capita ma anzi criticata dalle persone a lei più vicine. Si potranno così verificare cambiamenti nello stile di vita dell’individuo, caratterizzati da un crescente isolamento sociale e da problemi familiari apparentemente insanabili, fino a giungere in taluni casi alla disgregazione del tessuto familiare. In questa condizione, all’individuo sofferente l’unica soluzione sembrerà nuovamente e ancor di più l’alcol.
Come intervenire?
I meccanismi di dipendenza psicologica e fisica fin qui descritti ci aiutano a comprendere come uscire dall’alcolismo non sia semplicemente una questione di “volontà”.
Il trattamento della dipendenza da alcol ha l’obiettivo di aiutare l’individuo a interrompere completamente l’assunzione della sostanza. A tal fine dovrà essere attivato un intervento multidisciplinare, in cui dovranno essere trattate le problematiche mediche, internistiche ma anche quelle psicologiche e motivazionali che mantengono il disturbo.
La terapia farmacologica viene usata, prevalentemente, per gestire i sintomi dell’astinenza e prevenire le ricadute. Nei casi più gravi, è prevista la possibilità del ricovero ospedaliero per disintossicare il paziente e gestire la sindrome da astinenza alcolica o la chetoacidosi. In questi casi il paziente viene idratato per via endovenosa e vengono somministrate benzodiazepine; in caso di chetoacidosi alcolica vengono somministrati liquidi e zuccheri fino a quando il paziente non sia in grado di rialimentarsi e di bere autonomamente.
Nella fase di disintossicazione (che dura in genere una settimana e può essere effettuata, sempre sotto stretta supervisione medica, in via ambulatoriale o in regime di ricovero), al paziente vengono somministrate delle benzodiazepine che vengono poi scalate gradualmente, fino alla scomparsa completa dei sintomi di astinenza. Esistono inoltre programmi di riabilitazione a breve (cioè per un mese circa) e a lungo termine (possono durare fino a un anno) che vengono effettuati presso strutture dedicate alla cura dei problemi di dipendenza da alcol.
Per la prevenzione delle ricadute, invece, il supporto farmacologico più noto è il disulfiram o antabuse, un farmaco che interferisce con il metabolismo dell’alcol, provocando nausea e forte malessere alla persona che assume alcol mentre è in terapia con questo farmaco. Un altro farmaco utilizzato è il naltrexone, somministrato per ridurre il desiderio di alcol bloccando gli effetti piacevoli che esso produce. È possibile poi citare altri ausili farmacologici come l’acamprosato, la metadoxina, il nalmefene cloridrato, il sodio oxibato e gli antidepressivi della classe SSRI (inibitori selettivi del reuptake della serotonina).
L’intervento farmacologico aiuta a gestire i sintomi che si manifestano durante la disassuefazione e a evitare che si ricominci ad assumere la sostanza, ma questo intervento da solo non è sufficiente, costituendo solo il primo indispensabile passo per il cambiamento. Come abbiamo sottolineato in precedenza, infatti, il ricorso all’alcol si configura come una sorta di auto-medicazione nei confronti della sofferenza psicologica: il trattamento psicoterapico assume dunque un ruolo centrale nel trattamento efficace dell’alcolismo. L’obiettivo sarà incrementare la consapevolezza del paziente riguardo la propria condizione e le proprie emozioni e aiutarlo a sviluppare modalità di gestione adattive di quest’ultime, senza che si faccia più ricorso all’alcol. Tra le psicoterapie dimostratesi efficaci nel raggiungimento dei risultati e nella prevenzione delle ricadute possiamo citare la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT), l’Approccio Motivazionale e la Terapia Dialettico-Comportamentale (DBT). Una risorsa importante è costituita anche dai gruppi di auto-aiuto, come gli Alcolisti Anonimi o con i Club Alcologici Territoriali, che si sono rivelati efficaci nella prevenzione delle recidive.
Bibliografia:
Beck, A.T. (1976). Cognitive therapy and the emotional disorders. New York: International Universities Press.
DiClemente CC. (2003). Addiction and Change: How Addictions Develop and Addicted People Recover.New York: Guilford Press.
Labbe, A. K., Yeterian, J., Wilner, J. G., & Kelly, J. F. (2017). Cognitive and behavioral approaches for treating substance use disorders among behavioral medicine patients. In: The Massachusetts General Hospital Handbook of Behavioral Medicine (pp. 65-89). Humana Press.
Liese, B. S., & Tripp, J. C. (2018). Advances in Cognitive-Behavioral Therapy for Substance Use Disorders and Addictive Behaviors. Science and Practice in Cognitive Therapy: Foundations, Mechanisms, and Applications, 298.
Zamboni, L., Catalano, G., Zampieri, E., Procacci, M. (2018). Disturbi di personalità e disturbo da uso di sostanze.
https://www.ospedalemarialuigia.it/dipendenze-patologiche/alcolismo-cause-sintomi-danni/
http://www.salute.gov.it/portale/salute/p1_5.jsp?id=86&area=Disturbi_psichici
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_opuscoliPoster_104_allegato.pdf