di
Francesca Solito
Fin dall’inizio della gravidanza, generalmente, si origina nella mente dei futuri genitori la preoccupazione che il bambino possa non dormire. Il sonno di un bambino piccolo è molto diverso da quello degli adulti, di frequente durante la notte ha dei microrisvegli corrispondenti a delle fasi di sonno leggero. Questa diversità facilita lo sviluppo cerebrale e fisico e favorisce la sopravvivenza, il bambino ha una minore tolleranza a condizioni di disagio come la fame o il freddo, in una situazione di malessere è adattivo svegliarsi più facilmente. Ogni risveglio notturno non corrisponde a un bisogno alimentare da parte del bambino, questo significa che non è necessario attaccarlo al seno o dargli il biberon tutte le volte. Orientarsi e comprendere quale sia il bisogno fondamentale per lui in ogni fase di risveglio, per chi ci è passato, non è assolutamente semplice. Occorre darsi del tempo, entrare in una relazione profonda con il bambino implica la conoscenza e comprensione delle sue predisposizioni al sonno, concedendosi anche di poter sbagliare in modo da sintonizzarsi, passo dopo passo, con i bisogni del proprio figlio. Molto importante è ricordarsi che il sonno è un comportamento appreso, dipende da aspetti genetici che ne implicano una propria attitudine e un proprio ritmo sonno/veglia che si combina con aspetti di natura ambientale e comportamentale.
I genitori, dalla nascita del bambino, intraprendono un percorso in cui imparano progressivamente a sintonizzare e sincronizzare le necessità del figlio con le loro.
Ciò che può aiutare a favorire un “buon sonno” nei bambini è una condivisione e un accordo tra mamma e papà rispetto al luogo dove far dormire il proprio bambino, alla scelta dei rituali della buona notte e agli atteggiamenti da parte dell’adulto.
Ci sono genitori che scelgono di far dormire il neonato nel lettone perché provano un senso appagante di rilassatezza e intimità. Chi decide di seguire un modello educativo ad alto contatto sceglie di adottare il co-sleeping (sonno condiviso) come un metodo che ha il fine di infondere nel bambino un profondo senso di accoglienza, in modo da garantirgli un vissuto di sicurezza con cui affrontare il futuro. Il metodo del co-sleeping prevede la condivisione della stessa camera o del lettone (viene spesso indicato anche come bed sharing) per una serie di motivazioni che vanno al di là degli aspetti pratici o delle difficoltà riscontrate dai genitori nella gestione del sonno del bambino. Il principale sostenitore del metodo del co-sleeping è il professor James McKenna, antropologo e direttore del Laboratorio di ricerca sul sonno materno-infantile dell’Università di Notre Dame. Dopo molti anni di ricerca scientifica, McKenna nei suoi studi ha evidenziato come nella maggior parte delle specie animali i piccoli dormono insieme alla mamma finchè non diventano autosufficienti. Secondo l’antropologo, per i neonati stare con la mamma è indispensabile alla crescita: il contatto materno è benefico perché in grado di influenzare e regolare il sistema fisiologico del bambino. Il loro respiro, la temperatura, la pressione arteriosa e i livelli di stress si influenzano reciprocamente. Anche la psicologa Margot Sunderland, direttrice del Center for Child Mental Health di Londra si schiera a favore del sonno condiviso, affermando che il co-sleeping non comporta alcuna conseguenza psicologica per i bambini, ma li aiuterebbe a diventare persone più calme, sicure ed equilibrate da adulte. Secondo uno studio della Stony Brook University di New York condotto su un campione di 944 coppie e pubblicato sulla rivista medica “Pediatrics” nel 2011, per un neonato abituato al co-sleeping non ci sarebbe alcun effetto negativo né a livello psicologico né cognitivo. La ricerca ha dimostrato che dormire in un lettone che profuma della mamma e del papà, tra coccole e attenzioni, aiuta il piccolo a essere aperto e socievole con gli altri bambini e contribuisce a creare una relazione calda e profonda con i genitori.
Lasciare che il bambino dorma con la mamma e il papà sembra rispondere a una serie di bisogni di protezione e sicurezza insiti nella natura umana: nei bambini piccoli la condizione di separazione dal genitore è fonte di disagio, in quanto non sono ancora in grado di rappresentarsi in maniera stabile la permanenza della figura di accudimento anche in sua assenza. Non è un problema di abitudine o vizio; si tratta di una risposta innata del bambino. Durante i risvegli, è dunque naturale per lui cercare la vicinanza della mamma e piangere se non la trova. Il bambino che dorme nel lettone si sente confortato e rassicurato, non solo nell’immediato (in caso di risvegli notturni), ma anche da grande.
Spesso il co-sleeping viene utilizzato come una strategia che i genitori individuano successivamente per riuscire a trascorrere una notte senza troppe interruzioni dovute ai risvegli o ai pianti notturni. Utilizzare questo metodo come risposta ai problemi del sonno del bambino risulta meno efficace rispetto alla sua pratica come normale prassi fin dai primi mesi.
L’aspetto interessante è che i bambini, i cui genitori hanno scelto il co-sleeping, raramente condividono il letto con i genitori una volta arrivati all’età scolare, tendono infatti a staccarsi autonomamente iniziando a dormire spontaneamente nella loro cameretta. Mentre la condivisione tardiva del letto, a differenza di quella precoce (scelta fin dalla nascita del bambino), può associarsi a disturbi emotivi e psicologici.
Keller e Goldberg (2004) hanno messo in evidenza che dormire insieme ai genitori nei primi anni costruisca una maggiore capacità di dormire più tardi da soli senza timori e paure.
Bibliografia
Keller M.A. e Goldberg W.A. (2004), Co-sleeping: Help or hindrance for young children’s independence? <<Infant and Child Development>>, vol. 13, n. 5, pp. 369-388.
Margot Sunderland, The Science of Parenting, 2006.
Pellai, A. (2019). Buona notte bambini. Una storia e tante ninne nanne per addormentarsi sereni. Trento: Erickson.
Perdighe, C. (2015). Il linguaggio del cuore. Riconoscere e accettare le emozioni dei propri figli e accompagnarli nella crescita. Trento: Erickson.
- Gabriela Barajas, Anne Martin, Jeanne Brooks-Gunn, Lauren Hale, Mother-Child Bed-Sharing in Toddlerhood and Cognitive and Behavioral Outcomes, in “Pediatrics” 2011.