di
Pamela Calussi
Marina ha 53 anni, un buon lavoro, un marito e una figlia, che vive all’estero, ed ha paura di volare. Dice che non ricorda come è nata questa paura, ma al solo pensiero di prendere un aereo comincia ad avere intensa sudorazione, palpitazioni, vertigini. Una volta ha provato a salire su un aereo, ma al momento dell’imbarco è scappata via dall’aeroporto, in uno stato quasi confusionale, “sembravo una pazza”, dice lei. Quell’episodio è accaduto pochi giorni prima della laurea di sua figlia: per poter essere presente ha preso treni, navi, auto…è arrivata in tempo, ma “ero distrutta, non ho potuto nemmeno godermi il momento”. Poi ci sono stati altri momenti in cui avrebbe voluto essere vicina alla figlia: il trasloco, il primo giorno di lavoro… E infine è nato un nipotino: Marina vorrebbe essere libera di andare da loro quando vuole, senza dover prendere innumerevoli mezzi di trasporto. “Non ho problemi economici, potrei prendere l’aereo tutti i fine-settimana per stare con loro, ma non ci riesco, è più forte di me, se salgo su un aereo mi sembra di impazzire…e se ci fossero dei problemi al decollo? E se ci fossero delle turbolenze? O, peggio ancora, se io mi sentissi male quando sono in volo? Da lì non si può scappare!”.
Marina ha deciso di smettere di aver paura, ha deciso che è il momento di affrontare il suo problema e smettere di evitare, perché ciò che “perde”, adesso, con questo comportamento, ha un costo davvero elevato.
Marina ha una marcata paura o ansia rispetto ad una situazione specifica (prendere l’aereo), e questa è una delle caratteristiche principali delle fobie specifiche.
Cosa sono le fobie specifiche?
Le fobie specifiche sono inserite nel Manuale Statistico e Diagnostico dei disturbi mentali (DSM 5) tra i disturbi d’ansia, insieme ad esempio al disturbo d’ansia sociale, al disturbo di panico, all’agorafobia, al disturbo d’ansia generalizzato.
Il manuale diagnostico dei disturbi psicologici (DSM-5) classifica così le fobie:
Tipo animali. Fobia dei ragni (aracnofobia), fobia degli uccelli o fobia dei piccioni (ornitofobia), fobia degli insetti, fobia dei cani (cinofobia), fobia dei gatti (ailurofobia), fobia dei topi, ecc…
Tipo ambiente naturale. Fobia dei temporali (brontofobia), fobia delle altezze (acrofobia), fobia del buio (scotofobia), fobia dell’acqua (idrofobia), ecc…
Tipo sangue-iniezioni-ferite. Fobia del sangue (emofobia), fobia degli aghi, fobia delle siringhe, ecc… In generale, se la paura viene provocata dalla vista di sangue o di una ferita o dal ricevere un’iniezione o altre procedure mediche invasive.
Tipo situazionale. Nei casi in cui la paura è provocata da una situazione specifica, come trasporti pubblici, tunnel, ponti, ascensori, volare, guidare, oppure luoghi chiusi.
Altro tipo. Nel caso in cui la paura è scatenata da altri stimoli come: il timore o l’evitamento di situazioni che potrebbero portare a soffocare o contrarre una malattia, ecc. Una forma particolare di fobia riguarda il proprio corpo o una parte di esso, che la persona vede come orrende, inguardabili, ripugnanti.
La situazione per la quale si nutre timore viene evitata, poiché il solo pensiero di affrontarla suscita una intensa ansia anticipatoria o comunque un notevole disagio. Se il soggetto si espone allo stimolo fobico si ha quindi un’ansia elevata che può anche manifestarsi nella forma di un attacco di panico; nei bambini, la paura o l’ansia può essere espressa piangendo, con scoppi di ira, blocco comportamentale.
Per poter fare una diagnosi di fobia specifica, la paura, l’ansia o l’evitamento, devono essere persistenti, devono durare 6 mesi o più e devono causare un disagio significativo o una menomazione nella area sociale, lavorativa o di altre aree importanti del funzionamento (DSM 5).
Le fobie sono ad oggi piuttosto diffuse e rendono la vita faticosa e difficile per molte persone. Infatti, la sofferenza soggettiva, ma anche quella delle persone vicine, unita al costo sociale che alcuni evitamenti possono avere, sono elevati e bloccano di fatto l’individuo nel portare avanti la sua esistenza. Questo perché le fobie non sono in genere scatenate da un pericolo reale, esterno, ma da un pericolo interno, che di fatto blocca l’individuo e lo limita, ne limita la sua esistenza e lo porta, per paura, a non vivere realmente.
La fobia può essere definita come una paura estrema, irrazionale e sproporzionata per qualcosa che non rappresenta una reale minaccia e per cui la maggior parte delle persone non nutre particolare timore. Chi ne soffre, infatti, è terrorizzato dall’idea per esempio di vedere un ragno (l’aracnofobico), piuttosto che di prendere un ascensore (il claustrofobico): queste persone sono perfettamente consapevoli dell’irrazionalità della loro paura, ma non riescono a controllarla.
Abbiamo appena descritto la fobia come un’intensa paura: esiste infatti uno stretto legame tra le fobie, la paura e l’ansia.
La fobia, infatti, non è quindi che l’esagerazione di un’emozione basilare e comune a tutte le persone quale la paura. La paura in genere può avere anche una funzione adattiva: ci permette di accorgerci dei pericoli e di reagire a tale situazione, ci segnala l’imminenza di una situazione potenzialmente dannosa e ci spinge a trovare un modo per difenderci dal danno. Una delle caratteristiche principali dell’emozione di paura è che questa si attiva quando siamo davanti ad un pericolo reale (un incendio che è divampato in casa nostra, un leone che ci sta inseguendo, un treno che sta deragliando su di noi…): è universalmente riconosciuto come sia normale che queste situazioni provochino paura, e nessuno troverebbe strana la nostra faccia spaventata o la nostra reazione di fuga davanti ad esse. Questo è ciò che differenzia la paura dall’ansia: l’ansia è una reazione di paura davanti a situazioni che normalmente non sono considerate pericolose, ma il soggetto li trova ugualmente potenzialmente dannosi e mette in atto comportamenti di “fuga” o evitamento davanti ad essi. È il caso per esempio dell’agorafobico, che ha paura ad attraversare una piazza, o di che soffre di ansia sociale, che ha paura di parlare in pubblico. In realtà, la situazione temuta ha davvero in sé elementi che fanno “paura”, ma in questo caso la paura è immaginata e vissuta internamente solo dal soggetto che la prova, ed è frutto di ragionamenti e collegamenti ben precisi che il soggetto fa e che trasformano una situazione innocua in una molto pericolosa per il soggetto. Questo ci riporta a quello che è di base il concetto principale della psicoterapia cognitiva: non sono gli eventi in sé a provocarci un’emozione dannosa (in questo caso la paura), ma la valutazione che facciamo dell’evento stesso e quanto crediamo di saperla fronteggiare o meno.
In cosa si differenzia la fobia dall’ansia? Nel fobico, l’ansia si sviluppa sempre in situazioni ben precise (prendere un aereo, vedere un insetto…) lontani dai quali il soggetto sta benissimo e la sofferenza può al massimo essere provocata dal timore di ritrovarsi di nuovo nella situazione temuta. I tentativi di evitamento della situazione temuta sono massicci, mirano ad evitare che si riproponga la crisi di ansia ma costringe il soggetto a vivere tra mille limitazioni che in genere peggiorano il quadro clinico. Inoltre, la tendenza ad evitare tutte le situazioni o condizioni che possono essere associate alla situazione temuta, sebbene riduca sul momento gli effetti dell’ansia, in realtà costituisce una trappola perché ogni evitamento, infatti, conferma la pericolosità della situazione evitata e prepara l’evitamento successivo (in termini tecnici si dice che ogni evitamento rinforza negativamente la paura).
Ci sono comunque alcune persone che, nonostante abbiano un’ansia fobica elevata, riescono a vivere una vita soddisfacente: la fobia infatti diventa un problema nel momento in cui va ad interferire con la normale routine dell’individuo e rende difficile il buon funzionamento nella sfera lavorative o scolastiche o nella sfera sociali, o peggio ancora impedisce di fare cose importanti o necessarie per la salute: è il caso di chi ha paura di volare, e per questo motivo rinuncia ad importanti trasferte di lavoro, o di chi ha paura degli aghi e rinuncia per questo a fare controlli o visite.
Come nasce una fobia specifica?
In genere la fobia specifica nasce in seguito ad esperienze passate in cui il soggetto ha associato un pericolo ad una situazione di per sé neutra. Può anche manifestarsi una fobia in seguito ad un evento traumatico di cui il soggetto ha fatto esperienza (per esempio il morso di un cane, che “lascia” la paura dei cani), oppure essere stati esposti a eventi non traumatici di per sé ma che hanno creato un’associazione negativa ad una determinata situazione (mi ricordo di una paziente che aveva paura delle farfalle, e che indicava l’origine di questa paura ne fatto che da piccola era solita staccare le ali alle farfalle per prendere la “porporina colorata”, la nonna la impaurì con una storia fantasiosa sulle farfalle, e da allora le è rimasta la paura per questo insetto che definiva disgustoso). La fobia può nascere per trasmissione inter-generazionale: ad esempio una mamma che nutre un grosso timore per i gatti tanto da non permettere ai figli di avvicinarvisi, probabilmente farà nascere una fobia anche nei figli.
La terapia
Quando arriva in terapia, il fobico ha in genere paura di qualcosa, che sia una situazione (prendere l’aereo), un animale (i ragni) o un oggetto (le siringhe), e mette in atto una serie di comportamenti che mirano a evitare tale situazione, tale evento, al fine di non soffrire. La sofferenza risulta talvolta essere insostenibile, e lo porta a evitare innumerevoli situazioni e occasioni di vita sociale che la qualità della vita si riduce sostanzialmente.
L’evitamento però non risulta essere la strategia adeguata per risolvere il problema o quanto meno per affrontarlo: evitare infatti luoghi, situazioni o persone di fatto peggiora il quadro clinico perché porta il soggetto a ridurre drasticamente la sua vita sociale, annullare i suoi interessi, ritrovandosi spesso solo, e finisce, nei casi più gravi, per sviluppare una depressione secondaria che va ulteriormente a complicare e cronicizzare il quadro clinico.
Talvolta la remissione può essere spontanea, nel senso che il soggetto, stanco dei costi a cui va incontro a causa delle rinunce che deve ogni giorno fare per evitare di imbattersi in cosa teme, ad un certo punto decide di porre fine alle sue sofferenze affrontando semplicemente ciò che fino a quel momento ha evitato.
Molto spesso nel caso di fobie, soprattutto se si parla di quelle molto invalidanti, è consigliata la terapia farmacologica, in particolare l’uso di ansiolitici che possono essere di aiuto nell’affrontare le situazioni temute (es. prendere un aereo), ma può anche mettere il soggetto in una condizione più tranquilla e più predisposta ad affrontare il problema, rendendo anche più agevole la psicoterapia.
Il trattamento delle fobie prevede primariamente infatti un percorso di psicoterapia, e la psicoterapia cognitivo-comportamentale risulta essere l’approccio di elezione per questo tipo di disturbo.
Il primo passo per intraprendere un buon percorso psicoterapico è quello di aumentare la consapevolezza del paziente rispetto proprio al suo disturbo: molto spesso, infatti, i soggetti hanno poca consapevolezza del proprio disturbo, di come sia nato, di come si ripete negli anni, e arrivano in seguito ad un evento scompensante nel quale hanno provato molta ansia, aspettandosi una risoluzione del disturbo quasi magica, come se il terapeuta potesse avere una bacchetta per risolvere i problemi. Aiutarlo ad avere una visione della malattia più “autentica”, non avulsa dalla realtà, e instaurare un clima di collaborazione e fiducia, con l’idea che ogni cambiamento, ogni miglioramento, non avviene per via “miracolosa” ma solo grazie ad un’attiva ricerca della soluzione al problema è sicuramente di aiuto per iniziare un efficace percorso di aiuto: il soggetto prende parte attiva al cambiamento, affrontando le paure e gli evitamenti.
Lo scopo è quello di modificare le teorie che il soggetto si è creato per spiegare il problema, e in particolare di andare a modificare la credenza di essere “in balia” degli eventi”, che lui percepisce come incontrollabili e gestibili: viene quindi reso più consapevole sia del proprio disturbo che dei mezzi di cui è in possesso per poterlo affrontare.
Il trattamento delle fobie specifiche prevede necessariamente, dopo la fase iniziale, di eliminare quelli che sono gli evitamenti, in modo graduale, attraverso l’utilizzo delle tecniche di esposizione graduata agli stimoli temuti. Il paziente viene avvicinato in modo progressivo agli stimoli che innescano la paura, partendo da quelli più lontani dall’oggetto o situazione fobica (es. l’immagine di un aereo). Il contatto con tali stimoli viene mantenuto finché smettono di generare un0ansia così intensa da provocare la tendenza alla fuga: a questo punto si procede all’esposizione ad uno stimolo leggermente più ansiogeno secondo una gerarchia preparata in seduta precedentemente. In questo modo, si arriva a esposizioni molto più forti, senza scompensare il soggetto e ripetendo ogni esercizio finché non è diventato “neutro”.
Successivamente si aiuterà il soggetto a trovare dei comportamenti più adattivi e adatti per riprendere una vita “normale”, una sorta di “ri-educazione” comportamentale, che deve essere accompagnata da una “psicoeducazione” emotiva, per aiutarlo ad avere una maggiore consapevolezza della sua ansia e di tutto il mondo di emozioni che spesso il soggetto aveva “congelato” la per paura di soffrire.
L’ultimo aspetto riguarda poi la prevenzione delle ricadute, che in genere ci sono, e ci sono quando inconsapevolmente il soggetto rimette in atto le vecchie abitudini, cade nei vecchi tranelli, che rimettono in moto i soliti circoli viziosi: molto importante lavorare sulla possibilità di ricadute, perché potrebbero portare il soggetto a sentirsi di nuovo debole e fragile e in balia degli eventi esterni, aumentando di nuovo la sua credenza di debolezza personale.
Bibliografia
American Psychiatric Association (2014). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. DSM-5. Milano: Raffaello Cortina
Perdighe C. e Mancini F. (2008) (a cura di) Elementi di Psicoterapia Cognitiva, Giovanni Fioriti Editore.
Sassaroli, S., Lorenzini, R. (1998) Paure e Fobie. Ed. Due Punti, Il Saggiatore.