di
Pamela Calussi
Definizione di Hikikomori
Hikikomori è un termine giapponese coniato da da Saito negli anni ’90 per riferirsi a quei soggetti, in genere adolescenti o giovani adulti, che abbandonavano la scuola, il lavoro e altre attività sociali per lunghi periodi, e si recludevano in modo volontario dal mondo esterno e da ogni tipo di relazione (Iazzetta, 2017; Iazzetta et al., 2017; Ricci, 2008; Teo, 2010).
Questi ragazzi tendono quindi a rifugiarsi in casa, rifiutandosi di uscire, o facendolo solo in rare occasioni “protette”, e non hanno relazioni intime. Gli unici contatti che hanno sono quelli con i genitori, spesso si recludono nelle loro camere, senza contatti con l’esterno, spesso invertendo il ciclo sonno-veglia, e, nei casi più gravi, non escono mai nemmeno per mangiare o lavarsi.
I sintomi più rilevanti presenti in un Hikikomori vanno dal ritiro sociale, a umore depresso, ma anche comportamenti violenti e evitamenti di ogni genere.
Un altro aspetto che caratterizza questi soggetti è l’utilizzo della tecnologia, che spesso diventa l’unico modo per rimanere in contatto e comunicare con il mondo esterno: di fatto, il web, e più nello specifico i giochi on line, diventano un vero e proprio sostituto della vita reale, attraverso la creazione di una identità virtuale finalmente accettata e accettabile.
Le difficoltà che stanno dietro a questa problematica sono varie ed eterogenee (per saperne di più, si invita alla lettura dell’approfondimento della collega Iazzetta “Hikikomori e ritiro sociale: quando il mondo fa paura” nella sezione approfondimenti di questo sito). Sicuramente, nella società giapponese, oltre alle difficoltà individuali, ne esistono altre legate al difficile rapporto con in mondo esterno, con aspettative di successo, educazione rigida, richieste di omologazione al gruppo, ma anche bullismo e vergogna per essere una persona “inadeguata”: tutto ciò porta a autoisolamento e rifiuto sociale. L’isolamento dell’hikikomori non è la causa della sua sofferenza, ma un sintomo delle difficoltà di entrare in contatto con l’altro, di instaurare relazioni, di sentirsi parte di una società.
Hikikomori e Coronavirus: quando il mondo si ferma per tutti
La pandemia che recentemente ci ha travolti e che ha riguardato tutta la popolazione mondiale, ci ha costretto, a vari livelli, al ritiro nelle nostre case: niente contatti con l’esterno, niente lavoro, niente scuola, niente sport o momenti di svago. Per molti di noi il cambiamento è stato radicale: ad un tratto ci siamo trovati a non poter avere contatti “reali”con il mondo esterno e ad essere costretti a stare chiusi tra le quattro mura di casa nostra, con la teconologia che è diventata l’unico mezzo per rimanere in contatto con amici, parenti e colleghi.
Gli hikikomori vivono questo stato di reclusione perennne: certo con altri significati, altre cause e altre conseguenze. Ma, per un periodo di circa due mesi, si sono trovati a non essere così diversi dagli altri, in quanto per loro, il ritiro in casa, è una scelta obbligata per evitare il contatto con il mondo; per un periodo di circa due mesi, per loro, non è cambiato nulla, così come non è cambiato nulla dopo il termine del lockdown imposto.
Alcuni riportano invece un senso generale di “rilassamento”, quasi come se adesso si sentissero “finalmente” come tutti e “legittimati” a stare in casa, esenti dal senso di colpa o dal giudizio per una vita di ritiro e isolata, ma finalmente con una vita “come quella di tutti”.
Lockdown e Hikikomori: quali conseguenze
Il lockdown forzato, se per tutti ha comportato enormi cambiamenti nella quotidianeità, per gli hikomori non ha cambiato nulla: si sono trovati di nuovo chiusi in casa, isolati, con il pc come unico contatto col mondo esterno, con forse però una solitudine più accentuata, almeno per coloro che avevano intrapreso un percorso di recupero per uscire da questa patologia e magari hanno dovuto interrompere le (rare) uscite settimanali per andare dal terapeuta, oppure hanno dovuto interrompere una frequenza scolastica che potevano aver ripristinato faticosamente grazie alla terapia: per molti, di fatto, la quarantena forzata ha interrotto il “rientro in società”. Il rischio è stato quello di vedere annullati i progressi fatti a livello di reinserimento sociale, ma anche che aumentassero alcuni problemi secondari, come per esempio fobie (contagio) e ansia sociale (rapporti con gli altri).
Un altro rischio potenziale, invece, riguarda chi una diagnosi di hikomori ancora non ha (si ricorda che il fenomeno non riguarda solo la società giapponese, ma ha iniziato a preoccupare anche il nostro Paese nell’ultimo decennio, dove si parla di circa 100 mila casi in Italia e un rischio di aumento soprattutto tra le fasce d’età più basse), ma una serie di ragazzi considerati a “rischio”, il cui isolamento forzato potrebbe aver peggiorato alcuni tratti, sviluppando così forme di isolamento e ritiro sociale. Parliamo infatti di coloro che hanno una tendenza all’isolamento sociale ma riuscivano a mantenere alcune attività per rimanere in contatto con il mondo esterno (per esempio, molto semplicemente, la scuola), e che potrebbero subire conseguenze importanti, come per esempio grosse difficoltà a riprendere la vita normale. Il problema è legato appunto alla distanza che questi ragazzi vivono con amici, compagni, con la routine, ritrovandosi a passare molte ore chiusi nella propria stanza circondati da dispositivi elettronici, aumentando di fatto il rischio non solo di sentirsi isolati socialmente ma anche di comparsa di problemi quali insonnia, disturbi dell’umore, disturbi della concentrazione.
Hikikomori e fase 3: cosa fare.
Come detto precedentemente, molti di coloro che vivevano una condizione di ritiro sociale si sono trovati improvvisamente simili a tutti gli altri, quasi sollevati dal fatto di non essere considerati seppur per un breve periodo, “quelli strani”.
Il rischio più grande è quello che, in periodo di quarantena, oltre ad aver interrotto un percorso terapeutico, è quello che questo isolamento forzato abbia indotto molte persone a sottovalutare la propria condizione: è necessario quindi cercare di riportare i soggetti ritirati ad un maggiore contatto con la realtà, aiutandoli a ripristinare i costi di una vita di isolamento, i fattori di rischio di una vita ritirata, e aiutarli a porsi o semplicemente ricordare nuovi obiettivi che hanno come scopo il ripristino di una vita in società (o almeno il desiderio di averla).
Lo scopo generale del trattamento è ovviamente quello di aiutare i ragazzi ritirati a rompere la reclusione volontaria in cui si trovano, e permettergli di vivere la relazione con l’altro in modo sereno e non minaccioso, ricostruire un’identità solida e reinserirsi in un mondo sociale e in un progetto di vita (Iazzetta, 2017). Questo è un lavoro complesso, prima di tutto perché l’isolamento è un sintomo e non la causa. L’obiettivo ultimo è quello di far uscire di casa il ragazzo, ma ciò non può accadere se prima non si lavora anche su altri aspetti, come la fiducia, il riuscire a “penetrare il suo mondo”, ma anche e soprattutto su fattori cognitivi: necessaria una ritrutturazione di pensieri che lo portano a sentirsi giudicato, denigrato, ad avere convinzioni negative di sé, a sentirsi inadeguato, indegno o inutile, e tutto ciò che mantiene anche l’umore depresso e che mantiene lo stato di reclusione. Infatti, i pensieri, le convinzioni negative su di sè, sul mondo, sul futuro hanno un ruolo importante per l’esordio e per il mantenimento di questo fenomeno.
Sicuramente incoraggiare i ragazzi considerati a rischio alla ripresa delle attività che avevano sospeso, o, perché no, iniziarne di nuove, sempre nel rispetto delle regole e precauzioni che lo stato di pandemia ci impone.
Bibliografia:
Iazzetta, S., Calussi, P., Buonanno, C. (2017). Hikikomori: il rifiuto del Sol Levante. Quaderni di
Psicoterapia Cognitiva, 41, 19-33. DOI: 10.3280/QPC2017-041002.
Ricci, C., (2008). Hikikomori: Adolescenti in volontaria reclusione. Franco Angeli.
Iazzetta, S. (2017). Hikikomori e ritiro sociale: quando il mondo fa paura. http://www.psicoterapia-cognitiva.it/1918-2/ .
Teo, A.R., Gaw, A.C. (2010). Hikikomori, a Japanese culturebound syndrome of social withdrawal? A proposal for DSM-5. Journal of Nervous and Mental Disease, 198, 444–449.