di Niccolò Varrucciu
Da sempre la letteratura evidenzia come i genitori di persone con diagnosi di disturbi dello spettro autistico (DSA) si sentano più spesso frustrati, ansiosi e tesi delle madri di bambini a sviluppo tipico, con maggiori livelli di stanchezza e pessimismo riguardo al futuro.
Partendo da questi dati, non sorprende che questi genitori riportino anche alti tassi di disturbi d’ansia e dell’umore, molti conflitti familiari e poca soddisfazione rispetto agli obiettivi della propria vita: secondo molti ricercatori tutti questi elementi potrebbero essere secondari o reattivi allo stress e agli adattamenti richiesti dalla presa in carico di queste persone.
Dall’altra parte, nonostante l’alto carico assistenziale richiesto, lo stato dei supporti per questi genitori spesso differisce poco da ciò che veniva offerto 20 anni fa, ovvero strategie di intervento con l’obiettivo di intervenire direttamente o indirettamente sulla persona con DSA, in modo da permettere una gestione più funzionale ed efficace del paziente autistico e aumentare, quando possibile, gli apprendimenti. In altre parole, i bisogni psicologici, emotivi ed esperienziali dei genitori stessi sono ampiamente ignorati.
Per individuare e risolvere le problematiche mostrate da questa popolazione genitoriale l’Acceptance and Commitment Therapy (ACT) sembra essere particolarmente adatta.
Al contrario di altri interventi, che mirano alla modifica di stati mentali ed emotivi ritenuti esagerati, incongrui o inesatti, L’ACT mira all’accettazione di questi stati cognitivi e/o emotivi. Nel caso dei genitori di persone con DSA, i pensieri e i sentimenti “difficili” sperimentati da questi genitori non sono necessariamente esagerati o inesatti, ma rappresentano spesso la realtà dei fatti. Pertanto, una strategia di modifica è spesso vissuta come invalidante. L’accettazione si presenta invece come un approccio alternativo particolarmente utile, in particolare perché in molte occasioni alcune criticità rimarranno stabili nel tempo o comunque avranno cambiamenti lenti, graduali e parziali. Pertanto, piuttosto che sfidare il contenuto di pensieri e sentimenti difficili, l’ACT si pone l’obiettivo di accettare le emozioni spiacevoli, promuovere la defusione dai pensieri difficili e definire i valori personali secondo cui vivere.
Alcuni ricercatori hanno valutato l’efficacia di un intervento ACT composto da 7 incontri.
Tutte e sei le sessioni includono il lavoro sull’identificazione dei valori, mindfulness, defusione, l’accettazione e l’azione impegnata, ma ogni sessione ne enfatizzava una in particolare. Tutte le sessioni includevano momenti di psicoeducazione, discussioni, modeling, role-play ed esercitazioni pratiche.
La sessione iniziale è stata progettata per condividefre lo scopo del gruppo e l’approccio ACT. Il conduttore ha fornito la psicoeducazione (derivata dalla ricerca corrente) relativa alla genitorialità di un bambino con autismo e i possibili stress che ne derivano.
La seconda sessione si è concentrata sulle abilità di mindfulness di base e ha introdotto i genitori alla natura e al problema delle strategie di “controllo” (cioè, l’evitamento esperienziale). Al termine della sessione, il conduttore ha aiutato i genitori a identificare i modi in cui potrebbero integrare i momenti di consapevolezza nella loro vita quotidiana durante la settimana successiva.
La terza sessione si è concentrata sulla defusione, tramite alcuni esercizi esperienziali.
La quarta sessione ha introdotto i genitori al concetto di “workability” tramite La Matrice, uno strumento visivo comunemente usato per aiutare le persone a identificare le conseguenze a breve e a lungo termine dei loro comportamenti, e determinare la loro funzione (ad esempio, quando sono coinvolti nell’evitamento esperienziale rispetto a “vivere secondo i loro valori”).
La quinta sessione si è concentrata sulla definizione dei valori, oltre all’accettazione e all’azione impegnata nel contesto di situazioni genitoriali difficili.
La sesta sessione si è concentrata sugli esercizi per promuovere la cura di sé, inclusa l’auto-compassione e la defusione. Sono stati discussi anche i potenziali ostacoli al mantenimento e alla generalizzazione delle abilità ACT acquisite e le possibili strategie di problem solving.
La sessione di follow-up si tiene circa un mese dopo la fine dell’ultima sessione e ha lo scopo discutere le potenziali strategie per superare gli ostacoli occorsi in quel lasso di tempo.
I risultati del presente studio suggeriscono che un protocollo ACT di sei settimane può produrre significativi aumenti dei comportamenti diretti al perseguimento dei propri valori, con conseguenti benefici a lungo termine. I risultati hanno evidenziato anche miglioramenti nella sfera del sonno, dell’automomia e dei conflitti intrafamiliari, qusest’ultima grazie soprattutto all’aumento della condivisione delle funzioni di custodia dei figli con DSA.
Inoltre, sebbene non fosse l’obiettivo principale dello studio, sono state osservate modifiche anche su misure esplorative di autovalutazione e grosse riduzioni della frequenza degli evitamenti esperienziali.
I maggiori limiti di questo studio sono rappresentati dall’esigua dimensione del campione e dalla mancanza di dati sull’integrità del trattamento.
La ricerca futura dovrebbe includere l’analisi dei componenti per evidenziare possibili effetti multipli e determinare quali componenti siano più rilevanti per raggiungere i risultati desiderati. Tali analisi potrebbero anche consentire ai ricercatori di determinare se l’ordine in cui le sessioni sono presentate ai partecipanti possa influenzare i risultati del trattamento.
BIBLIOGRAFIA
Gould, E., Journal of Contextual Behavioral Science (2017), http://dx.doi.org/10.1016/j.jcbs.2017.06.003
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