di
Giulia Paradisi
Spesso si sente parlare, in rete sui giornali o in tv, di soggetti con personalità narcisistica. Molte volte mi è capitato di leggere articoli o post in cui il soggetto cosiddetto “narcisista” viene inquadrato e descritto sotto angolazioni diverse, così come non è infrequente trovarsi di fronte a numerose categorizzazioni create con lo scopo di differenziare, ad esempio, il prototipo “covert” da quello “overt”, il “seduttivo” dal “timido”, l’ “elitario” o “arrogante” da quello “inconsapevole”, il “bugiardo patologico” da quello “seriale” o “compulsivo”, ecc ecc. Quello che generalmente viene sottolineato di questi individui è l’impatto che la loro personalità ha sugli altri, cioè sulle persone con cui normalmente si relazionano e, in particolare, sulle difficoltà che il loro comportamento – spesso definito come scarsamente empatico- può generare nei rapporti interpersonali. Per le caratteristiche di personalità di questi soggetti rimando alla lettura di un articolo pubblicato in precedenza sul sito del nostro centro, dal titolo “Egoista che non sei altro…”, in cui la collega descrive alcuni aspetti che possono dare indicazioni utili al lettore che voglia farsi un’idea di chi sia il narcisista, o che desideri avere qualche informazione in più sulla persona che gli sta accanto, per confermare o scongiurare l’eventualità di essere legato a qualcuno che gli somigli. Non avendo la pretesa di essere esaustiva su un argomento così vasto ed eterogeneo, passerò brevemente in rassegna gli aspetti salienti della personalità narcisista, dichiarando che con questo termine si può far riferimento sia una diagnosi clinica in senso stretto, nel caso si tratti di un Disturbo Narcisistico di Personalità con tutti i crismi e come ben illustrato dal DSM-5 (APA, 2014, pp. 775-779), sia di un insieme di tratti che, sebbene non indichino una psicopatologia, possono mettere in luce una compatibilità o una certa somiglianza con questa sorta di identikit.
In breve, gli elementi che contraddistinguono un individuo narcisista sono l’egocentrismo, “il senso di grandiosa importanza e di unicità” che si attribuisce, l’esasperazione e la sovrastima delle proprie capacità, il comportarsi in maniera arrogante e presuntuosa nei confronti di chi lo circonda, la richiesta eccessiva di ammirazione e l’aspettativa che gli altri possano soddisfare i suoi bisogni senza troppe attese; l’atteggiamento di sfruttamento verso gli altri “che sono percepiti con valori e diritti inferiori rispetto ai propri”, la mancanza di empatia e la “difficoltà a riconoscere i desideri, le esperienze soggettive e i sentimenti altrui”. L’interlocutore può essere fortemente svalutato ed è per questo motivo che il narcisista può risultare estremamente offensivo e provocatorio, oppure considerato come disinteressato verso la sensibilità dell’altro, emotivamente freddo e indisponibile (http://www.psicoterapia-cognitiva.it/egoista-che-non-sei-altro/ ).
Una siffatta descrizione non parrebbe invogliare alla conoscenza di un soggetto con tali caratteristiche, visto che può sembrare che non abbia riguardo per i sentimenti o i bisogni altrui e che non si preoccupi di attirare l’attenzione al di fuori del suo senso di pretenziosità e odiosità (Behary, 2013).
E allora perché in molti si ritrovano ad essere coinvolte in relazioni con persone narcisiste? Perché l’impasse o la rottura di relazioni simili implica una sofferenza tale da cercare talvolta l’aiuto di un terapeuta? Perché tanto interesse rivolto a questo argomento, di cui si scrive e del quale si sente parlare così di frequente, anche tra i non-addetti-ai-lavori?
Per rispondere in parte a queste domande mi preme fare un’importante premessa, come sottolinea Dimaggio in un suo recente libro (2016): il narcisista non è necessariamente il fidanzato a cui interessa solo uscire con gli amici anziché sistemare la casa o quello che non esprime i propri sentimenti, né la ragazza che è alla ricerca continua di like su facebook postando selfie in maniera compulsiva. “Il narcisista è un dio affascinante, carismatico, di successo da cui è difficile non lasciarsi sedurre, ma al contempo un mostro cinico, freddo, svalutante, sprezzante, in grado di polverizzare la nostra autostima con un solo sguardo” (http://www.stateofmind.it/2017/02/lillusione-del-narcisista-recensione/). E’ questa osservazione che ci porta a rivedere la figura del narcisista (spesso descritta con toni eccessivamente “diabolici”) come un mix di caratteristiche che lo rendono non solo sgradevole o da evitare ma, allo stesso tempo, un personaggio intrigante, di cui ci si può anche follemente innamorare.
Visto che le teorie e i modelli psicologici che spiegano la personalità narcisista e le sue relazioni con gli altri sono innumerevoli e, chiaramente, propongono spiegazioni e prospettive diverse se non addirittura opposte tra loro, in questa sede cercherò non tanto di offrire una panoramica completa della letteratura in merito, ma di seguire una linea derivante dalla mia esperienza clinica con i pazienti, avvalendomi di alcuni tra i riferimenti che mi sono stati utili nella pratica terapeutica. Mi servirò, in questo piccolo contributo, di qualche vignetta clinica che aiuti me nella spiegazione degli argomenti trattati e il lettore nella loro comprensione.
Un po’ di pietà per il narcisista.
Sebbene il narcisista appaia o venga descritto come un calcolatore freddo, distaccato e preso solo da se stesso, in realtà inconsapevolmente desidera, come tutti, una relazione che sia sicura e umanamente appagante. Il suo desiderio è in fondo quello di una relazione molto più intensa e profonda, bisogno questo che non è capace di soddisfare, capire o accettare. Può succedere che per lui un coinvolgimento intimo e una sintonia profonda con un altro siano qualcosa di fragile e patetico o che, siccome rappresentano il riflesso di un suo desiderio (Behary, 2013), siano condizioni inaccettabili e quindi non ricercate, evitate, respinte oppure disprezzate. Questo perché dobbiamo tenere in considerazione che l’attuale narcisista, un tempo è stato un bambino e che, come tutti i bambini, aveva desideri, bisogni e sentimenti che, per vie diverse, possono essere stati fuorviati e non realizzati. Il narcisismo, infatti, se si lasciano da parte le teorie di stampo per così dire biologico (per cui questi tratti sarebbero geneticamente determinati), trae origine in esperienze di apprendimento precoci e, più nello specifico, nasce in un contesto relazionale con le figure di riferimento principali con cui il bambino si trovava ad interagire.
Gianluca oggi ha 34 anni, è un imprenditore di successo e arriva in terapia perché la ragazza che sta frequentando, di indole meno remissiva rispetto alle donne avute in precedenza, talvolta “osa” contraddirlo rispetto a idee o punti di vista che lui esprime, che invece è stato sempre certo di essere sostenuto e apprezzato. La fermezza con la quale l’attuale compagna dimostra di tenergli testa in alcune circostanze lo fa arrabbiare fino a fargli perdere le staffe e, temendo di poter esitare in gesti inconsulti, decide di chiedere aiuto. Gianluca da piccolo è cresciuto in una famiglia che lo ha sempre considerato migliore degli altri e descritto come avente diritti speciali e privilegi. In casa non si stabilivano dei limiti e non seguivano mai punizioni quando si infrangevano le regole o si superavano i confini del lecito, cosicché Gianluca non ha mai imparato a tollerare le emozioni di frustrazione, essendo sempre stato assecondato e – quasi mai – messo in discussione.
In questo caso siamo di fronte ad un individuo che, nella sua infanzia, è stato esaltato, idealizzato, in altre parole sovrastimato e questo ha contribuito alla costruzione di un’immagine di sé grandiosa, speciale, quasi intoccabile. Le successive esperienze affettive conducono inevitabilmente il soggetto a porsi in una condizione di superiorità sull’altro ma, se l’interlocutore è una persona non disposta ad abbassare la testa e a rinunciare alla propria identità, questo può suscitare nel narcisista una reazione di disappunto, fino anche al discontrollo della rabbia, con la quale esprime la percezione di essere stato ingiustamente privato del suo diritto alla specialità, come nel caso di Gianluca.
Ci può essere invece il caso in cui il nostro narcisista adulto abbia sviluppato determinati tratti per compensare un’idea di sé come una persona profondamente inadeguata e non amabile.
Linda è una ragazza di 26 anni all’ultimo anno di università, che arriva in terapia dopo una serie di delusioni in amicizia e nel bel mezzo di un periodo di isolamento e di solitudine per essersi sentita rifiutata dal gruppo che stava frequentando. Ritiene di avere maggiori difficoltà a relazionarsi con le donne, che lei descrive come “invidiose”, “sfruttatrici” e “maligne” nei suoi confronti, sempre pronte a cogliere anche un solo particolare per tagliarla fuori dal gruppo o per ignorarla. Dai vari racconti emerge come, in realtà, la modalità piuttosto teatrale e da “prima donna” che mette in atto nei contesti relazionali, alla continua ricerca di ammirazione e di approvazione, autoesaltandosi e lasciando poco spazio agli altri con racconti, aneddoti, cercando di attirare l’attenzione prevalentemente su di sé, diventi alla lunga un problema per chi le sta accanto, che si mostra insofferente, scocciato e, non di rado, distanziante. Per Linda, è proprio la percezione di valere poco e la conseguente strategia per evitarsi il rifiuto, che finisce per indurre negli altri proprio ciò che non vorrebbe: la distanza e la relativa sensazione di essere scartata.
Ma da dove viene quella sensazione di inadeguatezza e di vergogna di sé così profonda?
Linda è stata cresciuta in una famiglia in cui i genitori tendevano a sottolineare spesso i difetti, i limiti, le mancanze dei loro figli e, in particolare il padre, un uomo irritabile e scontroso, era solito umiliare pubblicamente la paziente, dal temperamento particolarmente vivace ed estroverso, facendola sentire “sbagliata”. A questi rimproveri seguivano lunghi periodi di silenzi, in cui Linda non poteva più rivolgersi al padre, che si mostrava inaccessibile e distante, istillando nella figlia di essere una figlia difettata e non meritevole di affetto.
In questo caso, al contrario, l’individuo narcisista, con i suoi comportamenti di apparente grandiosità, cerca in un certo modo di compensare un’immagine di sé come persona difettata, mancante, spregevole agli occhi degli altri e, quindi, meritevole di rifiuto.
Ma ci sono anche altre condizioni, come ad esempio quella dell’inibizione emotiva (Young & Klosko, 2007) sperimentata in passato, in cui il soggetto è cresciuto in un ambiente in cui non si dava spazio all’espressione di bisogni, desideri, emozioni che, al contrario, venivano repressi, puniti o non ascoltati. Il bambino, crescendo, avrà difficoltà ad esprimere la vulnerabilità o a comunicare liberamente i propri sentimenti, le proprie necessità e così via. Da adulto potrebbe essere il classico uomo (o donna) iper-razionale, freddo, emotivamente distante e poco propenso a lasciarsi andare alle emozioni e ai sentimenti.
Per una rassegna esaustiva di quelli che sono stati descritti come gli “schemi maladattivi precoci” dei soggetti narcisisti, rimando alla piacevolissima lettura di Young e Klosko (2007) presente in bibliografia, in cui vengono descritte varie condizioni ambientali e di apprendimento che possono aver contribuito alla formazione del disturbo narcisistico di personalità in età adulta.
Questi esempi hanno lo scopo di cercare di mettere in luce come, anche i comportamenti più incomprensibili, controproducenti o antipatici rappresentino comunque un tentativo di trovare una soluzione (evidentemente inefficace) ad una difficoltà sperimentata e non l’ostentazione di quella che potrebbe essere male interpretata come una sorta di “eccessiva autostima”, valutazione che spesso ma comprensibilmente ci guida nella relazione con questi soggetti.
Chi sceglie un partner narcisista?
Alessia è una donna di 39 anni che giunge in terapia con un forte stato ansioso-depressivo a seguito dell’interruzione di una conoscenza con un uomo che stava frequentando da qualche mese, conoscenza che aveva sperato si potesse trasformare in una relazione sentimentale stabile. Giovanni, in uno scambio di sms, aveva comunicato ad Alessia la sua volontà di sospendere la loro frequentazione dicendo di non sentirsi pronto per una relazione più impegnativa. Alessia, che si era sentita disperata di fronte a quelle parole, aveva continuato a cercarlo nei giorni successivi, con l’idea che avrebbe potuto fare ancora qualcosa per riconquistarlo e, in seduta, afferma di avere la “sensazione” di non averlo perso definitivamente ma che, grazie al particolare feeling che li univa, per loro ci sarebbe stata sicuramente una chance per ricominciare, a patto che lei gli avesse dimostrato quella sicurezza e quell’amore che a lui erano tanto mancati. Alessia da piccola ha vissuto in un ambiente familiare completamente carente da un punto di vista di cure e di attenzioni affettive: il padre e la madre erano completamente assorbiti dal lavoro e Alessia è cresciuta con la sorella maggiore che, per quanto fosse disponibile e presente, non riusciva a prendersi carico dei bisogni emotivi della sorella, di poco più piccola di lei. A questi racconti sembrava in effetti lei stessa ad essere stata privata di cure, di affetto e di attenzioni. Pareva però che tutte le sue energie fossero protese a cercare di accudire un uomo che dimostrava palesemente di essere distante da lei, non disponibile, lontano. La situazione di Alessia cominciò a migliorare quando cominciammo ad occuparci dei suoi vissuti di trascuratezza, del suo bisogno (mai corrisposto) di sentirsi accudita e del suo diritto a chiedere ciò di cui aveva necessità. Le caratteristiche di forza, indipendenza ma anche di difficoltà emotiva che Alessia attribuiva a Giovanni altro non erano che il riflesso di un’idealizzazione che a lei serviva per continuare a credere di poter riuscire a riconquistarlo, dimostrando una volta per tutte a se stessa e agli altri di valere e di essere meritevole di amore.
Riflettendo su questo caso, mi sono imbattuta su un’interessante articolo di De Luca e Gazzillo (2018), rappresentanti della Control Mastery Theory in Italia, che possono darci una mano a comprendere alcuni dei meccanismi sottostanti a situazioni relazionali e sentimentali simili a quella descritta, in cui una persona (come Alessia) “sceglie” di mettersi accanto un partner narcisista, o comunque poco attento ai bisogni dell’altro, oppure emotivamente distante o non disponibile ad un rapporto caratterizzato da intimità e sintonia profonde.
Nell’articolo gli autori riflettono proprio sul fenomeno dell’innamoramento per soggetti narcisisti emotivamente non disponibili. Questo fenomeno, che secondo gli autori riguarda prevalentemente persone di sesso femminile ma è riscontrabile anche negli uomini, “implica il coinvolgimento in relazioni con soggetti emotivamente poco disponibili, sfuggenti o francamente rifiutanti, coinvolgimento che, pur non essendo corrisposto, giunge a occupare la mente di questi pazienti e il loro spazio terapeutico per mesi” (De Luca & Gazzillo, 2018). Sempre secondo gli autori, “l’indagine di alcune dinamiche legate ai sensi di colpa interpersonali (Bush, 1989; O’Connor et al., 1997), in particolare al senso di colpa da odio di sé, può risultare utile ai fini della sua comprensione. Secondo la Control-Mastery Theory (CMT; Weiss, 1993; Gazzillo, 2017), il senso di colpa da odio di sé è un sentimento di disprezzo e disvalore personale che nasce dalla credenza di essere intrinsecamente sbagliati, dall’idea di non meritare amore, cura e protezione, e che deriva da relazioni familiari francamente abusanti o maltrattanti, o da contesti trascuranti e scarsamente attenti ai bisogni emotivi del bambino, contesti che, sebbene abbiano potuto fornire le cure e il sostegno materiale di cui i pazienti avevano bisogno, hanno comunque minato la loro autostima e la sensazione di avere il diritto di coinvolgersi in relazioni d’amore reciproche e appaganti. Pazienti con un forte senso di colpa da odio di sé possono facilmente incorrere in questo tipo di innamoramento per soggetti narcisisti emotivamente non disponibili. Sentendo, in fondo, di non valere niente, non riescono a sentirsi lusingati o appagati dalle persone che mostrano loro interesse e affetto – come se l’ombra del disvalore di cui ammantano se stessi finisse, per osmosi, per trasmettersi anche a chi li ama. “Se ama me, allora vuol dire che anche lui/lei vale poco”. Al contrario, la possibilità di conquistare una persona scostante e distanziante, spesso anche svalutante, diventa ai loro occhi l’unica via per acquisire valore. Come a dire, “Se conquisto lui/lei, che non mi vuole ed è distanziante come era un mio genitore, allora sì che potrò sentire/pensare di avere un valore, di essere degno/a di amore”. Come se il giudizio severo che, a causa delle esperienze infantili sfavorevoli, la persona ha imparato a rivolgere a se stessa, venisse momentaneamente attribuito a un’altra persona, che acquista così il ruolo di colui che, solo, può conferire un valore al Sé, un sostituto del genitore di un tempo. La persona scelta viene inoltre idealizzata, ed è descritta con tratti magnifici ed eccezionali che spesso sono solo il frutto della fantasia del/la paziente. Le sue caratteristiche reali finiscono per andare sullo sfondo, mentre ciò che è in primo piano è il fatto che l’altro sia al tempo stesso “speciale” ed emotivamente poco disponibile. E il carattere distanziante e la sua difficoltà a legarsi vengono interpretati non come una prova delle difficoltà di questa persona, ma come segno della sua indipendenza e forza, proprio come accadeva in passato con il genitore traumatico. Poiché la persona scelta presenta la caratteristica fondamentale di non essere disponibile, infatti, questo tipo di innamoramento finisce per essere estremamente frustrante, caratterizzato come è dallo strenuo tentativo di conquistare questo oggetto “speciale” e “rifiutante” e dalla convinzione che, se si possedessero quelle caratteristiche di bellezza, ingegno e fascino di cui ci si sente mancanti, allora la conquista sarebbe possibile. In modo complementare, il rifiuto proveniente dall’oggetto non viene letto come conseguenza dell’incapacità dell’altro di coinvolgersi in un legame stabile e duraturo, o come mera espressione del suo gusto, bensì come una conferma, l’ennesima, del proprio disvalore. Come accennato, i pazienti che cadono vittime di questo tipo di innamoramento provengono da ambienti non attenti ai loro bisogni emotivi. Questa trascuratezza ha provocato una profonda sofferenza nel paziente che, pur di non mettere in discussione le figure genitoriali attribuendo loro delle mancanze o degli errori, finisce per accusarsi di essere debole, fragile ed eccessivamente bisognoso, e per considerare gli altri trascuranti come forti e indipendenti”. (De Luca & Gazzillo, 2018).
Ho voluto sottolineare il ruolo che la persona che si lega al narcisista gioca nella relazione con lui, ruolo che spesso nasconde difficoltà personali (generalmente oscurate dalla personalità talvolta più appariscente del narcisista stesso). In alcuni casi, le difficoltà della persona che si lega al narcisista, si legano al fatto di non percepirsi in grado di affermare la propria autonomia, al timore di non farcela con le proprie gambe ad affrontare la vita, al pensare di avere bisogno di un altro “forte” che sappia compensare le proprie debolezze e la propria vulnerabilità. In altre circostanze ci può essere un disagio legato all’affrontare l’intimità, al sentirsi “troppo” vicini all’altra persona, magari perché in passato si sono sperimentate situazioni di pericolo legate all’accudimento, oppure di eccessiva costrizione, per cui l’individuo in età adulta può aver appreso strategie per costruire legami non troppo stringenti ma che, allo stesso tempo, lo possano mettere al riparo dalla solitudine (situazione che è facilmente riproducibile stando accanto ad un individuo riluttante al coinvolgimento emotivo, che imposta le relazioni sulla distanza emotiva, come il narcisista).
Come se ne esce?
Le vignette riportate e le riflessioni fatte fin qui non devono ovviamente essere intese come esemplificative di tutte le relazioni che vedono coinvolto un individuo narcisista, ma vogliono rappresentare uno spunto per ragionare su tali legami in un’ottica “a doppio senso”. Non esiste solo il narcisista che tende la trappola al partner (amico, familiare o altro) il quale, ingenuamente, vi cade vittima. Al contrario, in una relazione, più o meno complicata essa sia, bisognerebbe sempre valutare e tenere in considerazione i bisogni reciproci che hanno spinto gli attori a scegliersi (anche se in maniera inconsapevole) e a dare vita a dei meccanismi peculiari, in questo caso disfunzionali o, comunque, generatori di sofferenza. E’ quello che si cerca di fare in terapia, cercando di aiutare l’individuo che soffre in due direzioni: da una parte a leggere questo tipo di legame o di innamoramento per persone non disponibili come l’esito della propria storia di vita e dell’attaccamento per figure familiari che sono state, per certi versi, insoddisfacenti, se non addirittura traumatiche. Dall’altra, si cerca di facilitare lo svincolo da relazioni disfunzionali, cercando di aiutare la persona ad ammetter ed esplicitare bisogni (spesso inespressi) di vicinanza, reciprocità, affetto, attenzioni e di promuovere modalità più efficaci per giungere ad un loro soddisfacimento. Talvolta capita che la persona che arriva in terapia raccontando le sue disavventure con un/a compagno/a narcisista, richieda non tanto un cambiamento su di sé, quanto piuttosto una consulenza, una sorta di vademecum al terapeuta che lo possa illuminare sul “perché” il/la partner si comporti in un certo modo o che tipo di atteggiamento debba assumere per fronteggiarlo/a. In questi casi si nota come spesso ci sia una forte disattenzione verso quello che la persona che si ha davanti prova, sente, pensa e della sua scarsa propensione a mettersi al centro, nonché della tendenza ad attribuire al partner tutta la centralità della scena. Il lavoro terapeutico, in certi casi, si pone quindi anche l’obiettivo di aiutare la persona a recuperare il proprio spazio, di riportare alla luce e accettare i propri bisogni, cercando di capire al contempo perché questo non avvenga in automatico, quali sono i fattori che possono ostacolare tale processo, oppure come mai sia così necessario o inevitabile mettere al centro un altro da sé, salvo poi accusare il “povero” narcisista di aver –ancora una volta- rubato la scena!
Per saperne di più sull’argomento
American Psychiatric Association 2014, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Quinta edizione. DSM-5. Milano: Raffaello Cortina Editore
Behary W.T, 2013. Disarmare il narcisista. Sopravvivi all’egocentrico e migliora la tua vita. Editore ISC
Bush, M. (1989). The role of unconscious guilt in psychopathology and psychotherapy. Bulletin of the Menninger Clinic, 53(2), 97
De Luca, Gazzillo, F., 2018. Note sull’innamoramento per persone narcisiste ed emotivamente poco disponibili. (http://www.cmt-ig.org)
Dimaggio, G. (2016). L’illusione del narcisista. Baldini & Castoldi Editore
Gazzillo, F. (2017). Fidarsi dei pazienti. Milano: Raffaello Cortina
Young J.E., Klosko J. (2007). Schema Therapy: La Terapia Cognitivo Comportamentale Integrata per I Disturbi di Personalità. Ed. Eclipsi
O’Connor, L. E., Berry, J. W., & Weiss, J. (1999). Interpersonal guilt, shame, and psychological problems. Journal of social and clinical psychology, 18(2), 181-203
Weiss, J. (1993). Come funziona la psicoterapia. Tr. it. Torino: Bollati Boringhieri, 1999
Siti internet:
http://www.psicoterapia-cognitiva.it/egoista-che-non-sei-altro/
http://www.stateofmind.it/2017/02/lillusione-del-narcisista-recensione/