di: Pamela Calussi e Francesca Solito
Durante il suo percorso evolutivo, il bambino può “inciampare” in alcune esperienze sfavorevoli, che possono avere un impatto negativo sul suo sviluppo.
Il concetto di esperienze sfavorevoli infantili (ESI) è stato introdotto negli anni ‘90 da un autore americano, Felitti (Felitti et al., 1998), per indicare l’insieme di situazioni vissute nell’infanzia che si possono definire come “incidenti di percorso” negativi, più o meno cronici rispetto all’ideale percorso evolutivo sul piano sia personale che relazionale. Comprendono tutte le forme di abuso all’infanzia subito in forma diretta, come abuso sessuale, maltrattamento psicologico, fisico, trascuratezza; e le condizioni subite in forma indiretta che rendono l’ambiente familiare malsicuro, come per esempio l’alcolismo dei genitori, le malattie psichiatriche e, soprattutto, la violenza intrafamiliare.
La possibilità di proteggere i bambini dalle ferite psicologiche dovute ad incidenti educativi è connessa alla capacità degli adulti di riconoscere precocemente e tempestivamente i segnali di disagio che il bambino può manifestare sia a livello emotivo che comportamentale.
Le capacità di osservazione e di ascolto, la conoscenza e la gestione delle emozioni dei propri figli rappresentano i principali strumenti che le figure significative hanno a disposizione. Sviluppare e incrementare tali abilità consentono di intraprendere una giusta direzione per protendere al benessere del bambino, soprattutto quando quest’ultimo si trova ad affrontare esperienze avverse, sfavorevoli.
Quali sono i segnali di disagio che rappresentano dei campanelli d’allarme?
Al fine di riconoscere gli indicatori di malessere, è importante cogliere le reazioni psicosomatiche, i comportamenti “strani” e “insoliti” ed emozioni intense esibite dal bambino.
Possono costuituire dei campanelli d’allarme, e quindi comportamenti e reazioni alle quali prestare attenzione, i seguenti indicatori:
- Variazioni nelle normali attività del bambino, ovvero nell’alimentazione e nel sonno:
- inappetenza (un “mangione” che improvvisamente diventa inappetente, o fa molta fatica a mangiare
- disturbi del sonno e incubi (se in precedenza dormiva tranquillamente, difficoltà nell’addormentarsi, risvegli notturni; un bimbo che ha sempre dormito e che improvvisamente comincia ad avere incubi o sonni agitati)
- enuresi notturna, incontinenza e encopresi
- sintomi fisici (lamenta mal di testa, mal di pancia, mal di stomaco)
- tic nervosi
- cambiamenti nel comportamento con esibizione di aggressività (es.: il bambino picchia le bambole o i peluche, o inizia ad azzuffarsi con fratellini o amici) e scoppi di ira ingiustificati o nei confronti della persona sbagliata (ad esempio l’aggressione fisica improvvisa di un bambino qualsiasi in cortile).
- incapacità di concentrazione
- estremo disagio al momento di prepararsi o di entrare all’asilo (es.: pianto inarrestabile assente in precedenza, vomito). Gli adulti che si occupano del bambino hanno la possibilità di rendersi conto se il piccolo sta soffrendo per qualcosa che accade all’asilo, specialmente se cambiando struttura la situazione cambia e se nei periodi in cui non lo frequenta ritorna ad essere tranquillo. Uno dei segnali più comuni è quello che potrebbe essere scambiato dai genitori come un comportamento normale: il bambino che vive esperienze spiacevoli a scuola non ci vorrà più andare. Possono svilupparsi “atteggiamenti fortemente oppositivi nei confronti dei genitori quando questi portano il bambino a scuola. Da qui possiamo intuire che proprio lì c’è qualcosa che non va, che lo mette in difficoltà.
- Isolamento dagli altri
- disegni rappresentativi (il disegno è tendenzialmente proiettivo e quindi può riflettere lo stato d’animo del bambino, le sue paure e scene che ha visto o subito)
- realizzazione di giochi che simulano la situazione che hanno visto o che stanno vivendo
(es.: il bambino maltratta o apostrofa i propri pupazzetti come accade a lui dalle educatrici/maestre, in particolare alla scuola materna)
- flessione del tono dell’umore, un’accentuata tristezza, apatia
- paura del buio (richiede la luce accesa per dormire mentre prima questo non accadeva, la sera si rifiuta di girare per casa e chiede di essere accompagnato)
- paura dell’abbandono (piange quando i genitori si separano da lui anche per poco tempo)
- manifesta irrequietezza, agitazione, preoccupazione
- piange e si dispera per la maggior parte del tempo durante la giornata
- può avere difficoltà nel parlare o mostrare altri fastidi del linguaggio o dell’attenzione
- comportamenti compulsivi: il bambino che sta soffrendo e vive uno stato di preoccupazione e confusione interiore tende a ricercare all’esterno una sorta di ordine, di perfezione (quindi vuole che gli oggetti siano messi sempre secondo una certa sequenza…).
- manifesta comportamenti regressivi: i comportamenti regressivi sono una perdita temporanea di abilità già acquisite da tempo, o messa in atto di comportamenti chiaramente riferibili a età precedenti, che magari il bambino non ha mai messo in atto precedentemente. Il bambino inizia quindi a comportarsi come quando era più piccolo. Può ricominciare bagnare il letto, può desiderare di andare a dormire con babbo e mamma e non si addormenta più da solo, può volere il ciuccio, o voler essere imboccato o fare il bagno nella vaschetta del neonato, ricominciare o cominciare a mettere il dito in bocca, vuole bere solo con il biberon. Questo perché di fronte a situazioni di disagio e in qualche modo imprevedibili, il bambino cerca di rassicurarsi recuperando comportamenti legati a fasi precedenti quasi richiedendo maggiore attenzione e cercare quasi di “recuperare” un periodo in cui non sentiva questo disagio e stava “bene”. La funzione di questi comportamenti regressivi è quindi quella di cercare di smettere di soffrire: in realtà, vuole solo essere rassicurato.
Segnali di disagio correlati all’età
Le reazioni immediate dei bambini di fronte ad un evento che crea loro un disagio possono essere di vario tipo e di varia natura, e variano a seconda dell’età del bambino.
Se il bambino è molto piccolo, può manifestare comportamenti come irritabilità, cambiamento nelle routine, iper-vigilanza; crescendo possiamo osservare anche aumento dell’ansia di fronte a situazioni non conosciute, esplosioni di rabbia in situazioni specifiche, tentativi di evitare situazioni specifiche (es. andare a scuola), fino ad arrivare a comportamenti di eccessiva richiesta di vicinanza nei confronti del genitore, o comportamenti regressivi (perdita temporanea di abilità evolutive già acquisite). Crescendo, si possono osservare preoccupazioni verso elementi che possono rievocare gli episodi che hanno provocato malessere, incubi, preoccupazioni di vario tipo espresse verbalmente. Può essere frequente riscontrare paure generalizzate, ansia da separazione, timore degli sconosciuti. Inoltre spesso i bambini tendono a riprodurre i temi dell’esperienza in giochi post-traumatici
Ovviamente, la comparsa e la presenza di questi tipi di manifestazioni comportamentali e emotive dipendono dalle caratteristiche soggettive del bambino, come per esempio l’essere più o meno reattivo agli stimoli, la “soglia” di irritabilità, la reattività emotiva.
I bambini e le emozioni
Le reazioni del bambino si differenziano a seconda della loro età evolutiva, come abbiamo appena spiegato, e dell’importanza emotiva dell’evento che ha creato in lui disagio. In genere i bambini hanno difficoltà a verbalizzare le loro emozioni, e vengono espresse attraverso irrequietezza, agitazione, scoppi di rabbia, paura del buio, problemi di sonno, incubi e paura dell’abbandono. Possono anche riferire sintomi fisici come mal di testa o di stomaco. Quando i bambini scoppiano a piangere o diventano molto tristi apparentemente senza motivo, allora può voler dire che stanno lottando contro il dolore e che hanno bisogno di aiuto.
I bambini difficilmente sanno associare i loro sintomi di malessere all’esperienza avversa subita. Come abbiamo detto, il corpo ed il comportamento spesso parlano al loro posto: mal di testa, pipì a letto, mal di pancia, nervosismo, aggressività o al contrario eccessiva ed improvvisa tristezza, possono essere indicatori di una sofferenza silenziosa.
Nell’ambito di uno studio psicologico, lo Strange Situation Test (Ainsworth et al., 1978), è stato dimostrato che, già all’età di un anno, alcuni bambini possono reagire alle proprie emozioni reprimendole. Alcuni bambini piangono ed esprimono le loro emozioni e fanno in modo che le figure genitoriali percepiscano il loro disagio, mostrando quindi di nutrire fiducia nel loro ascolto e nella loro comprensione (di fatto mostrano di sapere che vale la pena di esprimere le loro emozioni perché saranno accolte). Vi sono invece bambini che non piangono, che non chiedono di essere presi in braccio, e che tendono ad allontanare la figura genitoriale, non mostrano di avere paura, né di nutrire disagio e rabbia, e dopo aver vissuto un’esperienza di disagio continuano tranquillamente ad intrattenersi con i loro giocattoli (un bambino-4 anni- una volta disse: “Non ho tanto bisogno della mia mamma”. I bambini che si autocontengono trasmettono al mondo un messaggio del tipo: “Non ho bisogno di te” o più in generale: “Non ho bisogno”).
Malgrado l’apparenza, anche questo bambino di fatto vive delle emozioni intense, come quei bambini che piangono, soltanto che non le esprime, e sta semplicemente mettendo in atto una forma di autocontenimento, ossia questo bambino sta affrontando le emozioni più dolorose e difficili da solo. Con il termine autocontenimento, coniato dalla psicoanalista Winnicott, si intende l’atteggiamento contrario del “chiedere aiuto”. Quindi, i bambini che si autocontengono sono quelli che hanno rinunciato o non hanno mai iniziato, a rivolgersi all’ambiente che li circonda in caso di disagio.
Un bambino piccolo ha assolutamente bisogno di aiuto per gestire il suo disagio, dal punto di vista evolutivo e neurobiologico. Le connessioni neuronali nel suo cervello si stanno ancora formando, per divenire soltanto in seguito capaci di regolare gli stimoli emotivi. Tali connessioni possono formarsi in modo appropriato soltanto in presenza di un genitore capace di amplificare i suoi stati emotivi positivi e di lenire e calmare il suo disagio. Quindi l’autocontenimento infantile è sempre destinato a rivelarsi un clamoroso insuccesso: prima o poi questi bambini daranno segni di scariche emotive, poiché la tensione irromperà all’esterno. Di fatto, i bambini non possiedono le risorse necessarie a gestire da soli le loro reazioni problematiche. Inoltre, quando le emozioni represse emergono, lo fanno sotto le forme più disparate, ossia reazioni psicosomatiche, comportamenti “strani” e “insoliti e emozioni intense, tutti quei campanelli d’allarme di cui abbiamo parlato prima. Solo con il sostegno di un genitore capace di lenire e amplificare i suoi stati d’animo, il bambino sarà in grado di regolare le proprie emozioni.
Estratti del convegno:
Esperienze avverse in ambito educativo e il loro impatto sul bambino
Grosseto, 10 giugno 2016
Bibliografia
- D’Ambrosio, C. (2004). Psicologia delle punizioni fisiche. Erikson edizioni.
- Giamundo, V. (a cura di) (2013). Abuso e maltrattamento all’infanzia. Modelli di intervento e terapia cognitivo-comportamentale. Franco Angeli Editore.
- Perdighe, C. (2015). Il linguaggio del cuore. Erikson edizioni.
- Romani, V. (2016). La pentola d’oro interiore: la relazione con i genitori nello sviluppo della personalità del bambino. State of Mind.Il giornale delle scienze psicologiche.
- Sunderland, M. (2003). Aiutare i bambini a esprimere le emozioni. Erikson edizioni.
- Sunderland, M. (2003). Aiutare i bambini pieni di rabbia e odio. Erikson edizioni.