di
Francesca Batacchioli

Mobbing: inquadramento, conseguenze per la vittima, valutazione e riconoscimento del danno.

Mi sento male solo al pensiero di dover passare 8 ore in quel posto – racconta Serena in colloquio – non ho modo di difendermi dalle angherie dei miei colleghi di lavoro…. Sono sempre nervosa, irascibile, spesso piango….penso che mi stiano sbattendo fuori…la  mia salute è peggiorata e tutta la mia vita ne sta risentendo.”

Serena, quarantenne laureata, è rappresentante RSU all’interno della sua azienda e da circa 15 mesi è vittima di mobbing trasversale (da parte di colleghi pari livello) e verticale (da parte di uno o più diretti superiori). In seguito ad alcune segnalazioni di anomalie aziendali, Serena ha avvertito un lento e progressivo instaurarsi di un clima di aumentata conflittualità e malumore nei suoi confronti, all’interno dell’azienda. Tutto inizia con commenti di corridoio (“ma dove vuoi arrivare?”, etc.), chiacchiere tese a ridicolizzarla e un tentativo di annullare la convalida della sua rielezione nell’organismo sindacale, adducendo motivi di dubbia validità dei risultati delle votazioni. Nei mesi successivi la signora subisce un demansionamento, inizia a trovare appesi volantini diffamatori in alcuni locali dell’azienda; l’atteggiamento dei colleghi oscilla in modo ingravescente tra vessazione, indifferenza e rifiuto. Restano sempre senza risposta le sue richieste verbali o scritte di spiegazione di ciò che sta accedendo. Serena trascorre saltuariamente alcuni giorni a casa in malattia. Giunge in studio dopo aver ricevuto due sanzioni disciplinari per futili motivi.

 

Esiste una relazione tra mobbing come stress psicosociale sul posto di lavoro e psicopatologia generale

 

Il fenomeno del mobbing si presenta complesso da studiare, sia per la multifattorilità delle cause che ne sono alla radice, sia per la multidisciplinarietà delle implicazioni da esso prodotte. Una delle difficoltà principali è quella di realizzare studi controllati che possano integrare sia aspetti legati all’organizzazione del contesto lavorativo che aspetti legati alla persona, ovvero alle caratteristiche psicologiche che predisporrebbero ad essere vittime o autori di mobbing. Sembra però ormai chiaro come questo tipo di situazione stressante, quando intensa e prolungata, sia in grado di causare nella vittima importanti sofferenze a livello psicofisico (Karasek, 2006; Siegrist e Theorell, 2006).

 

“Il Mobbing non è di per sé una malattia. Il Mobbing si manifesta come un’azione (o una serie di azioni) che si ripete per un lungo periodo di tempo, compiuta da uno o più mobber per danneggiare qualcuno, quasi sempre in modo sistematico e con uno scopo preciso. Il mobbizzato viene letteralmente accerchiato e aggredito intenzionalmente da aggressori, in posizione inferiore, superiore o di parità, che mettono in atto strategie comportamentali volte alla distruzione psicologica, sociale e professionale dello stesso. Il mobbizzato si trova nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e a lungo andare sviluppa disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore…” (Ege, 2002)

 

Nei soggetti che si trovano ad essere vittima di mobbing si riscontrano non di rado sintomi di natura psicopatologica, psicosomatica e comportamentale. Tra i quadri psicopatologici più frequentemente attribuibili al mobbing compaiono: Disturbo Ansioso-Depressivo (come nel caso di Serena), Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD), Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD), Disturbo dell’adattamento (AD). (Marinoni B. et al., 2007; Giorgi I. et al., 2004). In alcuni casi estremi, la vittima può riferire esperienze psicotiche (Einarsen e Mikkelsen, 2003; Gilioli, 2004;  Ulas et al., 2018).

Bisogna considerare che l’attuale mercato del lavoro, pervaso da incertezza e instabilità, costituisce un terreno fertile per il proliferare di situazioni conflittuali e strategie di marginalizzazione di un numero elevato di lavoratori, che rende difficoltoso demarcare un confine tra un lavoratore che vive in un clima intriso di difficoltà ed un mobbizzato, che sente ledere la propria sfera personale, psicofisica, la dignità e la professionalità in modo intenso ed invalidante per un lungo periodo di tempo.

Il mobber può mettere in atto una serie di comportamenti lesivi verso la vittima: derisione, offesa in pubblico, diffusione di false informazioni, pettegolezzi ed intrusioni nella vita privata, comportamenti tesi ad isolare la vittima, critiche e rimproveri sistematici, controllo eccessivo, minacce di violenza, molestie (anche sessuali), assegnazione di mansioni nuove senza formazione, demansionamenti, esclusione da progetti, riunioni o occasioni formative, omissione di comunicazioni, sovraccarichi di lavoro o trasferimenti repentini ed ingiustificati in sedi lontane. La più diffusa forma di mobbing sembra essere il cosiddetto “mobbing strategico”, finalizzato all’allontanamento di un lavoratore per riduzione dell’organico. La prevalenza del mobbing tra le donne è più elevata rispetto agli uomini; questo dato è stato attribuito al fatto che gli individui di sesso femminile occupano più frequentemente posizioni gerarchicamente più deboli e sono quindi più a rischio di subire mobbing.

 

Un po’ di storia ….

 

Il termine “mobbing” (dall’inglese to mob = «affollarsi, intorno a qualcuno», ma anche «assalire, malmenare e aggredire») è comparso nel nostro vocabolario negli anni’60, quando l’etologo Lorenz lo utilizzò per descrivere il comportamento di individui di una specie animale che si coalizzano, attaccando un membro del gruppo al fine di escluderlo. Tra gli anni ’80 e gli anni ’90 lo studio di questo tipo di comportamento ha acquisito grande rilevanza, all’interno delle scienze sociali e giuridiche, per ciò che concerne le azioni vessatorie, le aggressioni ed i comportamenti di emarginazione nel contesto lavorativo.

E’ noto il lavoro di definizione e studio del fenomeno effettuato da Leymann che nel 1996, anno in cui il mobbing ottiene per la prima volta un pieno riconoscimento giuridico, parla di “…una forma di terrorismo psicologico che implica un atteggiamento ostile e non etico posto in essere in forma sistematica da una o più persone, nei confronti di un solo individuo, il quale viene a trovarsi in una condizione indifesa ed è fatto oggetto di iniziative vessatorie e persecutorie…”  L’autore sottolinea inoltre che, perché si configuri il mobbing, le azioni vessatorie si debbono presentare con elevata frequenza (almeno una volta a settimana) e per un lungo periodo (almeno sei mesi).

Il lavoratore che ritiene di essere vittima di mobbing può esporre denuncia e chiedere di essere risarcito. Perché possa essere istruita una causa di risarcimento, al lavoratore spetta l’onere delle prove (certificati medici, documenti, testimonianze, ecc.) dell’esistenza di comportamenti illeciti che siano effettivamente stati causa di danni alla sua salute.

Per tutte le ragioni suddette si è resa palese la necessità di individuare dei criteri di valutazione che permettano di fornire un coerente ed oggettivabile inquadramento del danno da mobbing, al fine di fornire un’adeguata tutela a chi ne è effettivamente vittima.

Nel primo manuale Italiano contenente le indicazioni per la valutazione del danno da mobbing (Ege H., 1996) sono descritti i sette parametri di riferimento che devono essere presenti per affermare con rigorosa scientificità la presenza di mobbing:

  1. L’ambiente in cui si svolge il conflitto: la vicenda conflittuale deve essere ambientata in un contesto lavorativo.
  2. La frequenza delle azioni ostili: il parametro della frequenza deve indicare una cadenza delle azioni ostili di alcune volte al mese.
  3. La durata delle azioni ostili: il conflitto deve avere una durata di almeno 6 mesi.
  4. Il tipo di azioni ostili subite: in base ad un elenco di 45 possibili azioni ostili che si possono verificare nei casi di mobbing, organizzate in 5 categorie (attacchi ai contatti umani e alla possibilità di comunicare, isolamento sistematico, cambiamenti delle mansioni lavorative, attacchi alla reputazione, violenze o minacce di violenza, a cui possiamo aggiunge una sesta categoria che comprende tutte quelle “altre azioni” non comprese nelle precedenti categorie), si può parlare di Mobbing se la vittima indica di aver subito azioni riconducibili ad almeno due delle categorie indicate.
  5. Il dislivello tra gli antagonisti: tra la vittima e almeno uno degli aggressori deve essere chiaro il dislivello di potere, con la conseguenza che la vittima si sia trovata in una situazione di svantaggio.
  6. L’andamento temporale della vicenda secondo fasi successive: devono essere identificabili, all’interno della vicenda, le seguenti fasi susseguitesi in modo cronologicamente ordinato:
    1. Pre-fase condizione zero: situazione di tensione generalizzata all’interno dell’azienda.
      1. Fase del conflitto mirato: progressivo incanalarsi del conflitto in direzione di una determinata vittima.
      2. Inizio del Mobbing: percezione dell’inasprimento delle relazioni interpersonali e crescita del disagio.
  • Primi sintomi psicosomatici: prima avvisaglie di malessere, ma non ancora tali da richiedere assenze dal lavoro per malattia.
  1. Errori ed abusi dell’amministrazione del personale: richiami e controlli che fanno crescere il senso di impotenza del mobbizzato.
  2. Serio aggravamento della salute psicofisica della vittima: aggravamento del quadro sintomatologico e conseguente necessità di un percorso di cura e periodi di riposo.
  3. Esclusione dal mondo del lavoro: l’epilogo della vicenda è un allontanamento dal luogo di lavoro in seguito a licenziamento o dimissioni volontarie.
  1. La presenza di un intento persecutorio: deve rendersi abbastanza evidente un chiaro scopo negativo dell’aggressore nei confronti della vittima.

 

Il problema della valutazione del mobbing si presenta sia in contesti clinici che nell’ambito delle organizzazioni aziendali, oltre che nell’ambito forense.

 

La prima Valutazione (extragiudiziale) dello stato di salute psichica e fisica del soggetto che può aver subito mobbing, la Perizia (in ambito penale) e la Consulenza Tecnica (in ambito civile) effettuate generalmente da uno psicologo, uno psicoterapeuta o psichiatra forense, rientrano ormai nella consueta prassi nei procedimenti che hanno per oggetto il mobbing.

Dal punto di vista strumentale, il processo di diagnosi e valutazione non è differente da quello che il clinico solitamente impiega, quasi sempre corredato da specifici strumenti di testistica psicodiagnostica. Ciò che cambiano rispetto al lavoro terapeutico sono il mandato (legato al procedimento giudiziario) e le finalità (di accertamento e non di cura). Il lavoro del professionista verte in fatti su tre principali accertamenti: l’esistenza di un danno da mobbing, la diagnosi clinica, il rapporto cronologico che supporta il nesso causale tra gli eventi e il danno; l’accertamento dei criteri che soddisfano l’individuazione dell’azione vessatoria; eventualmente una Consulenza Tecnica preposta per valutare i danni psicologici, esistenziali e morali conseguenti al mobbing, previa individuazione di un nesso causale.

 

Bibliografia:

  • Buzzi F., Vannini (2014) Guida alla valutazione psichiatrica e medico – legale del danno biologico di natura psichica – Aggiornato a DSM-5 e PDM. Giuffre Editore. Milano
  • Ege H. (2002) La valutazione peritale nel danno da mobbing, Giuffrè Editore, Milano.
  • Giorgi I, Argentero P, Zanaletti W, Candura SM. (2004) A model for psychological assessment of mobbing. G Ital Med Lav Ergon. Apr-Jun;26(2):127-32.
  • Gulotta G. (a cura di) (2000) Elementi di psicologia giuridica e di diritto psicologico, Giuffrè Editore, Milano.
  • Leyman H., Gustafsson A. (1996) Mobbing at work and development of post-traumatic stress disorder, in mobbing and victimization at work, European Journal of Work and Organization Psychology, vol.10, n 4.
  • Marinoni B., Minelli C.M., Franzina B., Martellosio V., Scafa F., Giorgi I., Mazzacane F., Stancanelli M., Mennoia N.V., Candura S.M. (2007) Analysis of a case series of workers with mobbing syndrome]. G Ital Med Lav Ergon. Jul-Sep;29(3 Suppl):354-6.
  • Ulaş H, Afşaroğlu H, Binbay İ.T. (2018) Workplace Mobbing as a Psychosocial Stress and Its Relationship to General Psychopathology and Psychotic Experiences Among Working Women in a University Hospital. Turk Psikiyatri Derg. 29(2):102-108.