di
Francesca Batacchioli

L’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore descrive il dolore cronico come “dolore persistente oltre il normale periodo di guarigione dei tessuti”. Il dolore cronico è definito tale se esso perdura o si ripete per oltre tre mesi.

Secondo il rapporto dell’OMS (Organizzazione Mondiale Sanità) la popolazione italiana presenta una prevalenza di dolore cronico del 25%. Ciò significa che un italiano su quattro ha quotidianamente a che fare con uno stato di sofferenza persistente, che in molti casi determina non soltanto un’importante peggioramento della qualità della vita personale, lavorativa e sociale, ma funge da innesco per una serie di disagi psicologici, disturbi dell’umore, disturbi d’ansia e disturbi del sonno.

La complessità e l’eterogeneità insite nello studio e nel trattamento del dolore cronico richiedono di comprendere come gli aspetti psicologici e quelli organici interagiscono nel dare luogo ad un sintomo, ad una malattia, così come è importante comprendere quali significati la persona attribuisce alla propria esperienza di malattia.

 

“Chi viene a contatto con una sensazione spiacevole e – come reazione – si preoccupa, si agita, piange, grida, si batte sul petto, perde il senso della realtà̀. Quindi egli fa esperienza di due dolori: quello fisico e quello mentale” (“Il discorso della doppia freccia”, Buddha)

IL sutra (discorso) del Buddha che si intitola “Il discorso della freccia” è uno degli insegnamenti del Buddha più noti e potenti per rappresentare come il rapporto che l’individuo ha con il dolore influisce in modo determinante sull’intensità di esso e sulle capacità di fronteggiarlo.

 

>    La prima freccia rappresenta il dolore che inevitabilmente sperimentiamo. Ciò̀ che avviene nel corpo.    >    La seconda freccia, invece, rappresenta la nostra reazione alla prima, e cioè̀ alle sensazioni dolorose che proviamo nel corpo.

Se essere colpiti dalla prima freccia è inevitabile, non solo perché la sofferenza è parte della condizione umana, ma anche perché molti pazienti affetti da dolore cronico purtroppo non beneficiano in modo significativo delle terapie mediche, l’individuo può scegliere di andare ad agire sull’esperienza del dolore, modificando le proprie risposte ad esso. Imparare a non farsi colpire dalla seconda freccia, non aggiungendo dolore supplementare a quello che è presente, richiede la disponibilità ad aprirsi al dolore, osservandolo ed imparando da esso, anziché puntare a contrastarlo.

 

La terza generazione delle psicoterapie che afferiscono al modello cognitivo-comportamentale ha accolto, enfatizzato e adottato il concetti di flessibilità psicologica ed accettazione della sofferenza, implementando l’uso di protocolli volti agire sulle dimensioni affettive, cognitive e sensoriali del dolore cronico e centrati sulla consapevolezza dell’esperienza interna ed esterna di dolore. Il concetti base prendono origine dalla Mindufulness (che ha appunto il significato di “Consapevolezza), una pratica meditativa che addestra a restare sull’esperienza personale presente, prestando ad essa attenzione in modo aperto e non giudicante.

La capacità acquisita _ attraverso la meditazione mindfulness – di potersi di fermare (il non fare) permette di “bloccare” le reazioni automatiche mentali, comportamentali o somatiche o almeno di “sapersene accorgere”, riconoscendole, ed uscirne, lasciandole andare, sospendendo il giudizio e la critica, in un atteggiamento accettante, curioso e compassionevole verso l’esperienza interna ed esterna (Rainone, 2012).

 

Il focus sulla consapevolezza permette di accettare l’esperienza di dolore cronico riducendo il catastrofismo ed il giudizio, fare esperienza del fatto che il dolore non è permanente ed identico nella durata e nell’intensità, non pensare a sé stessi come dei malati (come noi non siamo i nostri pensieri, non siamo nemmeno il nostro dolore), coltivare ciò che si può definire “la mente del principiante” restando aperti verso le terapie efficaci (in una lunga storia di dolore, esperienze pregresse di fallimento terapeutico possono infatti far perdere fiducia e aumentare lo sconforto).

La mindfulness va ad incidere su alcuni principali meccanismi di innesco e mantenimento del dolore:

– l’attenzione selettiva nei confronti dello stimolo doloroso, sia che sia presente ed intenso che nel timore che ricompaia o si intensifichi

– l’evitamento protettivo di situazioni a cui l’individuo attribuisce il potere di innescare o peggiorare il dolore.

– la ricerca spasmodica di soluzioni al dolore attraverso il rimuginio

– il processo ruminativo che imprigiona la persona nel tunnel del dolore psichico

 

SEPARARE LE DUE FRECCE ATTRAVERSO L’IMPIEGO DELLA MINDFULNESS

 

Risale al 1990 il libro “Vivere momento per momento”, il primo testo scritto da Kabat-Zinn nel quale si documenta l’utilizzo della mindfulness come strumento per affrontare stress, ansia, dolori fisici e cronici.

 

Il primo protocollo mindfulness impiegato nella clinica del dolore cronico è l’MBRS (Mindfulness-Based Stress Reduction) basato sull’addestramento al riconoscimento delle nostre reazioni alle sensazioni di dolore come distinte dal dolore in sé. L’MBRS non è una psicoterapia, ma un peculiare programma di pratica meditativa, da svolgere in gruppo che si articola su 8 incontri a cadenza settimanale, un ritiro conclusivo di 6 ore ed un esercizio quotidiano delle pratiche di almeno 30/40 minuti.

Nell’MBRS applicato al dolore ci sono tre passi importanti da compiere:

  • Osservare e sentire il nostro corpo percependo in che modo tratteniamo dentro di noi il dolore.
  • Lavorare sulle reazioni emotive e fisiche che emettiamo in risposta al dolore, tenendo presente il principio delle due frecce.
  • Imparare a vivere il dolore nel momento presente, gestendolo un attimo alla volta, qui e ora, momento dopo momento.

Numerosi sono gli studi clinici evidence-based a supporto dell’efficacia dell’MBRS per il dolore cronico, già a partire da metà degli anni ’80; tale protocollo sembra apportare benefici al paziente in termini di riduzione dell’intensità del dolore e di miglioramento delle strategie di fronteggiamento del dolore stesso. Sono disponibili, ad esempio, diverse pubblicazioni scientifiche a sostegno del fatto che l’MBSR può essere un’opzione terapeutica efficace per i pazienti con lombalgia cronica (Cherkin D,C. et. Al., 2016; Jones S.M.W., 2022) e con fibromialgia (Sephton et al, 2007; Lush et al 2009, Grossman et al, 2007; Fonia D., Aisenberg D., 2022).

 

 

Bibliografia:

Åkerblom S, Perrin S, Fischer MR, McCracken LM, (2015) The Mediating Role of Acceptance in Multidisciplinary Cognitive Behavioral Therapy for Chronic Pain, Journal of Pain, in press.

Chiesa A., Serretti A., (2011) Mindfulness-based intervention for chronic pain: a systematic review of the evidence. J Altern Complement Med 17, 1, 83-93.

Cherkin D,C, Sherman K.J., Balderson B.H., Cook A.J., Anderson M.L., Hawkes R.L., Hansen K.E., Turner, J-A., (2016) Effects of Mindfulness-Based Stress Reduction vs Cognitive-Behavioral Therapy and Usual Care on Back Pain and Functional Limitations among Adults with Chronic Low Back Pain: A Randomized Clinical Trial JAMA. Author manuscript, Mar 22-29; 315(12): 1240–1249.

Fonia D., Aisenberg D., (2022) The Effects of Mindfulness Interventions on Fibromyalgia in Adults aged 65 and Older: A Window to Effective Therapy. J Clin Psychol Med Settings

Kabat-Zinn J, (1982) “An outpatient program in behavioral medicine for chronic pain patients based on the practice of mindfulness meditation: theoretical considerations and preliminary results”, Gen Hosp Psychiatry.

Sturgeon JA (2014). Psychological therapies for the management of chronic pain. Psychology Research Behaviour Management. Apr 10;7:115-24.

http://www.psicoterapeutiinformazione.it/wp-content/uploads/2020/05/2-Stefani-Dolore-e-mindfulness.pdf

https://www.psicoterapia-palermo.it/PDFS/3-RainonePE.pdf

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35934277/

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35226059/

https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1257_allegato.pdf