di
Silvia Timitilli

Tante, diverse e contrastanti così forse potremmo cercare di dipingere, con una veloce pennellata, le emozioni che ci stanno accompagnando in questa prima settimana di Fase 2. Sono emozioni che possono albergare in persone diverse, ma che possono coesistere anche all’interno di un unico individuo. Sì, perché ciascuno di noi può transitare da uno slancio di grande entusiasmo e felicità, ad uno stato di paura, delusione e, perché no, anche confusione dinnanzi a questo tourbillon emotivo.

Siamo forse impazziti? Forse la Fase 1 ci ha traumatizzato in modi che solo adesso iniziano a manifestarsi? O forse questa frenetica danza emotiva è del tutto normale?

 

In un interessante articolo, la Dott.ssa Claudia Perdighe (“Covid-19: è utile parlare di trauma?”, https://www.cognitivismo.com/2020/04/06/covid-19-e-utile-parlare-di-trauma/) invita a riflettere sull’utilità o meno di sottolineare esclusivamente i danni psicologici e il potenziale traumatico di questa esperienza che tutti noi stiamo attraversando. Un atteggiamento di enfatizzazione dei potenziali “traumi” che la quarantena può lasciare indistintamente in ciascuno di noi può risultare estremante nocivo. Da una parte persone che non hanno finora mostrato i tanto attesi segni di disagio potrebbero porsi interrogativi come “Non è che adesso inizio a stare male psicologicamente? Non è che tra un po’impazzisco?” o, al contrario, “Come mai sto bene in questa situazione? Sono anormale?”; dall’altra parte persone che affrontano eventi dal reale potenziale traumatico (come operatori sanitari, malati e parenti di malati) potrebbero sottostimare la loro sofferenza, considerandola come quella che, bene o male, affrontano tutti, non richiedendo un aiuto invece essenziale per gestire eventi che realmente corrispondo a ciò che viene definito “trauma” dalla comunità scientifica.

 

Transitare attraverso stati emotivi di segno opposto in risposta a ciò che stiano vivendo in questa Fase 2 può, allora, essere considerato normale? La risposta è verosimilmente sì, ma cerchiamo di capire meglio.

Immaginiamo di tornare con la mente alla mattina del 4 Maggio. Sono quasi due mesi che non rivediamo un nostro “affetto stabile” e ne sentiamo la mancanza. Usciremo felici all’idea di rivederlo, ci immagineremo di uscire contenti e spensierati, con la mascherina sì, ma comunque felici e positivi. Niente potrà intaccare questo nostro stato d’animo, questa ritrovata libertà. Volendo riassaporare appieno questo ritorno alla normalità, ci fermeremo a quel bar a prendere quel caffè che tanto ci piaceva (pur quanto da asporto) e a cui abbiamo dovuto rinunciare durante la quarantena. Giriamo l’angolo e…fila…non ce lo aspettavamo…iniziano a emergere sensazioni diverse da quelle vissute fino ad ora…frustrazione…rabbia…sconforto e forse un po’di paura.

La libertà tanto agognata non è proprio come ce la aspettavamo: file per anche la più piccola cosa, mascherine, guanti, distanze di sicurezza e il “furbetto” che vorrebbe passare avanti con la gente dietro che inizia a mormorare. Tutto incomincia ad assumere un’altra connotazione, un altro sapore, diventando pesante e farraginoso. E mentre siamo in fila, torniamo a pensare al nostro affetto stabile che tra un po’rivedremo, accenniamo un sorriso e poi, con la coda dell’occhio, notiamo che la persona dietro di noi non indossa la mascherina. Un momento di paura…cerchiamo di spostarci un po’in avanti, ma senza avvicinarci troppo alla persona davanti a noi. Cerchiamo di tranquillizzarci e assaporiamo quel retrogusto amaro della delusione: la libertà, che tanto agognavamo, non è dolce come ci aspettavamo. Iniziamo davvero a comprendere cosa significhi quel termine che veniva usato per descrivere la Fase 2, fase di “convivenza col virus”, che assume la connotazione di fase di “convivenza con il rischio”.

In questa nuova era dovremo imparare a convivere con questo coinquilino non molto simpatico che è, appunto, il rischio di contagio e quindi convivere con la compresenza di emozioni a volte dissonanti. Da una parte ci sarà la contentezza per aver riconquistato una fetta di libertà e per il progressivo recupero di una vita “normale”, ma allo stesso tempo sperimenteremo emozioni “negative” come frustrazione o ansia e sarà altrettanto normale provarle.

 

Come mai proveremo ansia? Ritornare a muoversi nell’ambiente fuori dalla propria casa significa, necessariamente, esporsi a un rischio di contagio potenzialmente maggiore rispetto a quando eravamo reclusi in quarantena. La percezione di questo rischio e l’ansia relativa saranno tanto più elevate quanto più è elevata la percezione dell’entità della minaccia che dovremo affrontare.

Immaginiamo di poter tornare sul nostro luogo di lavoro. Da una parte saremo contenti, rivedremo i nostri colleghi, usciremo di casa, ma allo stesso tempo sperimenteremo paura. Quali elementi determinano questa percezione? Nella formula di seguito riportata sono riassunti questi fattori e le loro reciproche relazioni:

 

In questa formula il significato dei simboli utilizzati è:

  • M = entità della minaccia;
  • p = probabilità attribuita alla possibilità che si verifichi l’evento temuto, es. a lavoro ritengo che il contagio sarà più probabile rispetto alla mia abitazione perché nell’ambiente transita un maggior numero di persone;
  • V = gravità dell’evento temuto, es. il contagio può comportare un ricovero in terapia intensiva, la morte o perfino la morte dei propri cari se verranno da noi contagiati;
  • I = imminenza attribuita all’evento temuto, ad esempio, rispetto ai giorni trascorsi in casa in quarantena, la minaccia del contagio appare più imminente da quando ci troviamo a lavoro e entriamo in contatto con colleghi, fornitori, clienti ecc.;
  • PI = potere interno, ovvero il potere che ci attribuiamo di saper fronteggiare l’evento temuto e le sue conseguenze, ad esempio la nostra capacità di lavarci in modo corretto le mani e/o di indossare e togliere i guanti monouso in sicurezza;
  • PE = insieme dei poteri esterni cioè di quei fattori, non direttamente sotto il nostro controllo, che possono aiutare a fronteggiare l’evento temuto, ad esempio la messa in atto di corrette procedure di sanificazione sul luogo di lavoro, presenza di idonei Dispositivi di Protezione Individuale, soluzioni idroalcoliche e barriere distanziatrici all’interno del luogo di lavoro.
  • Il segno di moltiplicazione rappresenta il fatto che l’azzeramento di una delle variabili al numeratore annulla la minaccia; il segno di divisione rappresenta il fatto che l’aumento del denominatore non annulla mai del tutto la minaccia pur potendola ridurre grandemente; e il segno di addizione indica che fra i poteri interni e quelli esterni vi è una relazione semplicemente cumulativa.

Rimanendo in casa, come previsto dalle misure della Fase 1, la percezione del rischio di contagio a cui eravamo esposti era indubbiamente minore rispetto a quella percezione di rischio con cui dovremo imparare a convivere nella Fase 2.

Come siamo stati in grado di trovare un equilibrio e una stabilità (non priva di rinunce e non sempre semplice da mantenere) durante la quarantena, altrettanto possiamo ritenere che saremo in grado di fare in questa nuova era. Inizialmente l’ansia sarà maggiore, ma man mano che il tempo passerà, sempre più ci sentiremo dotati di maggiori risorse per fronteggiare il pericolo, ad esempio imparando a attuare con “naturalezza” procedure di sicurezza che ancora ci sembrano ostiche: sapremo mettere e togliere la mascherina senza dubbi procedurali, sapremo regolarci sulle distanze da tenere, sapremo quando è opportuno o meno igienizzarci le mani e non ci sorprenderemo più delle file, adattandoci di conseguenza. Svilupperemo, insomma, una serie di strategie funzionali di fronteggiamento. Concediamoci allora il tempo di impararle, diventare competenti nell’attuarle e riacquistare un maggior senso di serenità senza necessariamente parlare di “trauma”, ma senza neppure abbassare precocemente la guardia, affinché il giorno in cui arriverà davvero la fine di questa strana convivenza si avvicini sempre più e ci possa cogliere più forti e sereni di prima!

 

 

BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA:

 

Castelfranchi, C.; Mancini, F.; Miceli, M. (2002). Fondamenti di cognitivismo clinico. Bollati Boringhieri, Torino

 

Mancini F. e Gragnani A. (2005). L’esposizione con prevenzione della risposta come pratica della accettazione. Cognitivismo Clinico 2, 1, 38-58

 

https://www.cognitivismo.com/2020/04/06/covid-19-e-utile-parlare-di-trauma